Prodotti di “largo consumo”, sistema moda, dispositivi elettronici, elettrici, ottici, digitali; occhiali; caschi; estintori. Sono gli ambiti più diffusi in cui la creatività italiana ha chiesto – e ottenuto – la tutela delle proprie produzioni in Europa attraverso la registrazione del marchio comunitario. L’ambito medico e veterinario, il packaging e l’automotive quello in cui, invece, maggiormente si è espressa la genialità dei nostri connazionali, riconosciuta attraverso il brevetto Ue. Ma mentre nel caso dei marchi la crisi non ha inciso, tanto che, tra il 2009 e il 2010, l’incremento delle domande italiane sottoposte all’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (Uami) è stato di oltre l’8%, la difficile congiuntura ha rallentato – nel nostro Paese ma non solo – il ricorso alla brevettazione di quasi il 6%. Questi alcuni degli elementi che emergono dalla lettura dei dati dell’Osservatorio di Unioncamere sui brevetti e marchi comunitari, relativo al periodo 1999-2010.
“Il sostegno che il sistema camerale fornisce alle imprese, d’intesa con il Ministero dello Sviluppo economico, affinché tutelino le proprie invenzioni e il proprio brand sia a livello comunitario che internazionale – ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - deriva dalla constatazione che il deposito di brevetti e marchi è fondamentale per proteggere la creatività ed il genio italiano nel mondo contro le azioni di contraffazione che procurano un grave danno all’economia nazionale sia in termini di riduzione della competitività delle imprese, sia di sicurezza, sia di mancate entrate fiscali”.
Su 701.806 le domande di marchio comunitario depositate tra il 1999 ed il 2010 presso l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI), l’82,7% proviene dai Paesi del G12. I più attivi sono i tedeschi, ai quali si deve il 19,1% delle domande totali, seguiti dagli Stati Uniti (12,7%) e dalla Gran Bretagna (9,9%). Esigua, invece, ma in forte crescita, la partecipazione dei Paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), che detengono solo l’1,6% delle domande presentate all’Uami. Le 6.750 domande con titolare italiano consentono al nostro Paese di occupare il quinto posto tra le nazioni del G12, detenendo l’8,3% delle richieste. Prima di noi, la Spagna, che nello stesso anno ha raggiunto la quota dell’8,8%.
Fonte: Unioncamere
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