Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato un tavolo urgente con i vertici del settore moda, fissato per il 15 ottobre, con l’obiettivo di definire misure concrete a tutela della filiera italiana. L’iniziativa si inserisce in un contesto di attenzione crescente verso le pratiche di produzione e la reputazione del “vero” Made in Italy.
Un sistema economico che vale miliardi
Il settore della moda italiano è descritto come «sano e trainante per l’economia nazionale», con circa mezzo milione di persone impegnate solo nella manifattura, e con la filiera moda che rivaluta oltre il 60% del proprio fatturato totale in Italia. Il presidente di Confindustria Moda, Luca Sburlati, evidenzia che la reputazione dei brand italiani è «oggi sotto attacco» e che occorre una risposta sistemica.
Le leve della tutela: legalità, filiera, prezzo, audit
Durante l’incontro convocato, sono emersi diversi punti focali:
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	Contrasto al caporalato e alla illegalità nella produzione: Urso ha annunciato un provvedimento legislativo che, in intesa con le associazioni di settore, mira a garantire piena legalità nella filiera produttiva. 
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	Definizione dei contratti pirata e dei meccanismi che impediscono la compressione dei costi a scapito della qualità e dell’origine delle produzioni. 
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	Auditing nazionale condiviso, che permetta la raccolta strutturata dei documenti di filiera e riduca sia la burocrazia sia le pratiche illegali. Sburlati ha affermato che “in questo modo si eliminerebbe il 99% dell’illegalità”. 
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	Concorrenza sleale dell’ultra-fast fashion: uno dei temi più critici riguarda i marchi italiani che rispettano le regole e che risultano penalizzati da modelli produttivi a costo estremo. 
Origine, reputazione e rischio percezione
Urso ha rimarcato che «la reputazione dei nostri brand è oggi sotto attacco, sia sul fronte interno che internazionale». In particolare, l’interlocuzione con l’imprenditore Diego Della Valle serve a dare un segnale forte: se i grandi marchi del lusso segnalano criticità nella filiera, allora tutto il sistema deve reagire. Della Valle ha definito «vergognose» le accuse mosse al gruppo che guida, specificando che le proprie aziende «non sfruttano nessuno».
Uno sguardo strategico al futuro
La proposta che emerge è duplice: da una parte, tutelare l’origine e la filiera “Made in Italy” come asset strategico; dall’altra, promuovere una visione di lungo termine che assicuri sia la qualità sia l’innovazione. Tra le ipotesi in discussione:
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	un passaporto digitale del prodotto, per certificare origine, filiera e tracciabilità in formato digitale; 
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	un “grande patto” tra marchi e istituzioni per rafforzare la competitività e prevenire che il Made in Italy venga percepito solo come un problema reputazionale. 
Perché è importante anche per il B2B e le PMI
Per le piccole e medie imprese del settore, questa iniziativa segnala alcune priorità operative:
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	crescente enfasi sulla trasparenza della filiera, con la necessità di dimostrare origine, qualità e conformità normativa; 
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	probabile sviluppo di strumenti digitali di tracciabilità (blockchain, QR code, audit condivisi); 
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	valorizzazione della sostenibilità sociale come parte integrante del marchio Made in Italy; 
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	importanza di comunicare la conformità e la storia produttiva per proteggere la reputazione aziendale.