Scarpe, la svolta del made in Italy meno imprese, più posti di lavoro
Da anni la scarpa made in Italy viene data per spacciata. Le accuse sono sempre le solite: si tratta di un prodotto "maturo", troppo esposto alla concorrenza devastante dei paesi emergenti a basso costo del lavoro. Un prodotto insomma che si dovrebbe produrre in Romania o in Malesia ma non in Italia. E invece nel 2011 è successo qualcosa di nuovo che smentisce i profeti del "declinismo" industriale. "Per la prima volta in quindici anni", sottolinea Cleto Sagripanti, presidente dell’Anci, l’associazione industriale di settore aderente a Confindustria, "nel comparto calzaturiero è finita l’emorragia di posti di lavoro ed è aumentata l’occupazione. Si tratta di quasi 800 posti in più, una crescita dell’1 per cento".
Certo, un incremento di 800 posti può sembrare modesto rispetto ai 40 mila addetti "bruciati" nel corso dell’ultimo quindicennio. Tuttavia per Sagripanti non ci sono dubbi: "E’ un segnale importante. Anche perché gli occupati aumentano nelle aziende che producono in Italia". Poi aggiunge: "Si parla spesso di nuove professioni e si fa riferimento alle nuove tecnologie come la panacea di tutti i mali. In realtà i settori del manifatturiero sanno creare opportunità lavorative, come dimostrano questi dati, e soprattutto sono in grado di generare occupazione per giovani con professionalità e competenze nuove".
Insomma, le calzature sono uno dei rari settori dell’industria in cui la crescita produce occupazione. E i preconsuntivi 2011 dell’Anci dimostrano che la scarpa ha ricominciato a tirare. Lo confermano i dati della produzione in aumento del 2,4% i termini di volumi e del 4,8% a valore. E lo certifica il boom dell’export: più 3,4% in quantità e più 12,2% in valore superando così 7,4 miliardi di euro. Un fenomeno rilevante perché le vendite estere rappresentano circa l’80% del fatturato del settore. Dice Sagripanti: "Il 2011 è stato un anno importante per noi: in tutte le aree di sbocco sono stati superati i livelli del 2008". In effetti le uniche eccezioni sono i mercati dell’Est Europa e dell’ex Unione Sovietica che, nonostante la ripresa, rimangono sotto i loro livelli di quattro anni fa del 15%, e il Nord America, che ha però completato il recupero in valore.
"Gli Usa", incalza Diego Rossetti, vicepresidente dell’Anci (e presidente di Fratelli Rossetti, circa 85 milioni di ricavi) "sono un mercato con grandi prospettive per il made in Italy". E quindi sostiene che le strategie dell’Anci "dovranno cercare di incrementare il posizionamento delle scarpe italiane negli Usa". A questo proposito bisogna registrare che nel 2011 il prezzo medio di vendita alla distribuzione è cresciuto dell’11,7% sfiorando i 56 euro.
I dati delle esportazioni dei primi 11 mesi del 2011 confermano che tutti e tre i primi mercati hanno avuto incrementi consistenti in valore (Francia +11,6%, Germania +8,8%, Usa +14%), Bene, i risultati in Russia (+20% in valore e +15,2% in volume) mentre nell’area europea segni negativi affiorano per Spagna e Austria; nel Regno Unito sebbene i valori rimangano positivi (+4,4%), si assiste a un calo in termini di numero di paia (7,2%). Notevolmente dinamici invece i flussi verso il Far East: Giappone, con una crescita del 20,1% in valore, Hong Kong, con un aumento del 47%, e Cina, con un incremento dell’85%. L’aggregato "Cina e Hong Kong", considerato a livello statistico ancora separatamente, è divenuto il nono mercato di sbocco, con un valore più che raddoppiato negli ultimi 3 anni.
Certo, le prospettive per il 2012 non sono rosee. Come ammette lo stesso Sagripanti "il mercato interno appare in flessione e il secondo semestre sarà difficile". Tuttavia è innegabile che negli ultimi anni il settore ha fatto un salto di qualità che lo rende sempre più forte sui mercati internazionali. Ne sa qualcosa Gimmi Baldinini, anche lui vicepresidente Anci, a capo di un gruppo che esporta in Russia oltre il 90% della produzione: "Le aziende italiane hanno capito sempre di più l’importanza del marchio e ci stanno investendo. E’ il marchio che fa la differenza e ti consente di vendere il tuo prodotto a prezzi interessanti". Poi si confida: "Io glielo posso assicurare: sono trentadue anni che investo in Russia sul mio brand con soddisfazione crescente. E lo sa cosa ho scoperto la settimana scorsa partecipando a una trasmissione televisiva nella città siberiana di Krasnoiar? Ho scoperto grazie a un sondaggio che Baldinini in quell’angolo di Siberia da un milione di abitanti è più famoso della Ferrari!". Tanto marketing e una buona dose di strategie commerciali aggressive sui mercati esteri, dunque. Sembrano queste le scelte che stanno rivitalizzando un comparto ingiustamente considerato decotto. Ma non è tutto. Basta analizzare i dati statistici dell’Anci per capire che le aziende della calzature stanno cambiando rapidamente. A fronte della crescita dell’occupazione, infatti, nel 2011 è diminuito ulteriormente il numero di imprese attive scendendo a quota 5.606. Da un anno all’altro quindi si contano 198 calzaturifici in meno rispetto ai 5.804 censiti al dicembre 2010, pari ad una riduzione del 3,4%. Ovviamente non ci si può rallegrare di questa notizia. Dietro ad una fabbrica che muore ci sono speranze infrante e posti di lavoro perduti. Tuttavia, come osserva Adriano Sartor che oltre ad essere vicepresidente dell’Anci è anche ad di Stonefly (93 milioni di ricavi a fine 2011) "è innegabile che la dimensione media delle aziende stia crescendo. E che anche le imprese minori siano sempre più strutturate per competere con successo sui mercati internazionali. Il "made in Italy", infatti, continua ad avere un forte appeal all’estero".
Fonte: Repubblica.it