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2015-01-01

Design made in Italy dov

Che l’Italia fosse in preda ad una grave crisi dei consumi si era capito. Che questa situazione avesse investito tutti i settori, anche. Quello che però non tutti sanno è che la crisi dei consumi non sempre è una crisi di competitività delle imprese. Lo dimostra il fatto che nel 2011 le esportazioni di arredo made in Italy sono cresciute e si è assistito così ad un forte divaricamento dei risultati tra mercato interno ed estero. Secondo i dati del Centro Studi Cosmit/FederlegnoArredo, il macrosistema arredamento ha chiuso il 2011 con un fatturato in rosso (-4,8%) rispetto al 2010, fermandosi a poco più di 20 miliardi di euro. A pesare sui dati, la frenata dei consumi interni che per il settore dell’arredamento italiano rappresenta ancora la metà dell’intero giro d’affari. Le vendite di arredamento made in Italy sono infatti passate da 14,4 miliardi del 2010 a 13 miliardi nello scorso esercizio (-9,7%). Rallentano anche le importazioni che, dall’incremento del 18% del 2010, l’anno scorso sono passate a +2% con 3,1 miliardi. Unica nota positiva appunto, sono state le esportazioni, cresciute del 4,3% a 10,4 miliardi di euro, con i Paesi extra europei che registrano i tassi di crescita più interessanti: Russia (+11%), Ucraina (+21%), Emirati Arabi (+8,4%), Arabia Saudita (+22%), USA (+5%) e Cina (+34%). I mercati stranieri, dunque, continuano ad acquistare arredo italiano perché riconoscono alle nostre aziende la qualità di prodotti e servizio. Secondo quanto reso noto dall’Ace (il vecchio Ice, che ha solo cambiato nome) sale sul podio come principale importatore di mobili e cucine italiani la Francia, seguita da Germania e Russia. “Le esportazioni sono un grande polmone per le aziende italiane – ci ha spiegato Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo – ma pur rappresentando il 51,5% riguardano un numero limitato di aziende, quelle più strutturate per affrontare i mercati internazionali. È per questo che, nonostante i risultati positivi delle vendite estere, le imprese stanno soffrendo questa fase congiunturale con un calo di addetti che, nel solo macrosettore arredamento, è di 4.300 e arriva nell’intera filiera a quasi 8mila. Le imprese che abbiamo perso per strada sono circa 1.500 nell’intera filiera, ma con una forte concentrazione soprattutto nell’arredamento”. “Stiamo assistendo ormai da diverso tempo – ha proseguito Snaidero – ad un chiaro divaricamento tra quanto avviene sul mercato interno e quanto avviene sui mercati esteri ed è indubbio che nel 2011 stiano soffrendo tutti i settori dipendenti dall’edilizia. Le manovre economiche restrittive e il blocco dell’erogazione dei mutui hanno inciso pesantemente sull’indotto della casa. Così sul mercato interno siamo di fronte ad un forte ridimensionamento della spesa”. Questa situazione è comune a quasi tutte le aziende da noi intervistate, dall’arredo (Molteni, Poliform, Chateau d’Ax) alle cucine (Boffi, Scavolini, Stosa Cucine), all’illuminazione (Flos), ossia a chi si rivolge ad un target medio-alto di consumatori. “Nello specifico – approfondisce Roberto Gramaccioni, responsabile export di Scavolini – il settore delle cucine, rispetto a quello del mobile, ha più difficoltà ad affermarsi all’estero perché la cucina, fatta solitamente di 30/40 pezzi, coinvolge una gestione tecnica più complessa rispetto ai pezzi unici dell’arredo. Noi, ad esempio, non arriviamo neanche al 20% di export, pur essendo il terzo esportatore italiano”.

Si salva solo chi si rivolge ad un target altissimo e di nicchia. Ce lo conferma Gastone Pagot, AD di Minotti Cucine: “Noi siamo una micro-azienda e apparteniamo ad una nicchia di gamma altissima (le nostre cucine costano circa 70mila euro e vengono realizzate ‘su misura’) quindi ci troviamo un po’ al di fuori delle problematiche di crisi del settore, in quanto i nostri clienti hanno un’ampia disponibilità economica. Pensi che attualmente stanno spendendo il 40% in più rispetto al passato, perché chiedono materiali più preziosi e modelli più grandi”. “Le aziende che vanno meglio all’estero – prosegue – sono in generale quelle che hanno maggiore visibilità anche in Italia, cioè quelle che sul mercato domestico sono già ben consolidate. Una problematica che, invece, sembra accomunare tutte le aziende del comparto sono i pagamenti, soprattutto per quanto riguarda i Paesi della comunità europea, per il credit crunch e la stretta delle banche. “Abbiamo un ottimo cliente in Grecia – afferma Pagot – ma le banche italiane la Grecia non la assicurano più!”

Pagot, che lavora per il fondo Opera ed è diventato AD di Minotti Cucine dopo l’acquisizione dell’azienda da parte del fondo, ha potuto seguire nel tempo le vicende di diverse aziende, individuando i limiti del cosiddetto Sistema Italia. “Il problema nel nostro Paese – denuncia l’AD – è la distribuzione. Prenda Minotti Cucine come esempio, all’estero i nostri rivenditori hanno sposato appieno il nostro approccio di progettazione dell’ambiente e lavorano a stretto contatto con i designer di interni, con i general contractor (le imprese) e ci accompagnano a fornire una cucina che è pensata per uno specifico progetto e per uno specifico cliente. In Italia, invece, la distribuzione è attendista, aspetta che il cliente entri in negozio con le idee in testa, visioni i modelli di cucine disponibili e scelga tra di essi. Questo approccio distributivo non sta pagando, ma è ancora molto frequente in Italia”. “Il modello di esportazione italiana all’estero è antico ed è sempre lo stesso – prosegue duro Pagot – esporto, vendo le cucine ai clienti stranieri e poi torno a casa, senza garantire l’assistenza di una mia filiale in loco. Dovremmo imparare dai tedeschi a presidiare il mercato in cui si esporta, anche per la fascia economica del mobile. All’estero ci vedono distanti: basti pensare che anche per rispondere ad una semplice richiesta a volte passano diverse ore a causa del fuso orario”.

“L’Italia è l’unico sistema arredo in grado di soddisfare tutte le richieste, dal design classico al moderno, su tutta la casa”, ci ricorda Giovanni Anzani AD di Poliform e presidente di Assarredo. “Per resistere alla crisi bisogna fare sistema, andare all’estero insieme tramite associazioni e consorzi per promuovere il design del nostro Paese. Ma in Italia sembra davvero difficile: le aziende sarebbero in grado di farlo il problema è nel DNA dell’italiano, inguaribilmente individualista e competitivo. Il nostro Governo non ci aiuta molto in questo, diversamente da alcuni governi stranieri che agevolano lo sbarco delle proprie imprese all’estero offrendo formazione e il supporto di una squadra composta da tecnici di Governo, banche e assicurazioni.” “Questo è il leit motiv del Salone del Mobile – rincara Fabio Corsini, direttore generale di Chateau d’Ax – dove pochi grandi nomi diventano i protagonisti dei padiglioni e si circondano di nomi che non danno fastidio. È la situazione del settore del mobile degli ultimi 50 anni della quale non vogliamo più far parte, motivo per cui quest’anno ci siamo presentati con un evento al Fuorisalone”. “Bisogna maturare – conclude Corsini – e pensare che si può anche imparare dai propri concorrenti”. L’individualismo italiano ci fa perdere importanti opportunità di business nelle quali si incorre viaggiando per il mondo…

…Ne è un esempio il contract residenziale, che nel mondo sta diventando un ottimo canale di vendita. Si tratta di commesse che le aziende si aggiudicano per arredare, ad esempio, i 10 attici di un development di 4 o 5 torri. Se le aziende si presentassero insieme, magari con prodotti di target diverso o di categoria merceologica diversa (cucine, bagni, arredi) le stesse torri potrebbe essere rifornite completamente da aziende italiane. “Noi italiani invece – spiega Pagot – temiamo che gli altri ci portino via clienti e con questa mentalità le alleanze non funzionano”.

“Il consumatore in tempi di crisi è più attento a cosa compra – esordisce Roberto Gavazzi, AD di Boffi – calcola scrupolosamente il rapporto qualità/prezzo, richiede al prodotto estetica e funzionalità, e si aspetta dal produttore serietà”. Il consumatore, insomma, non è cambiato nei gusti quanto nelle motivazioni e l’unico modo per stimolarne l’acquisto è proporre novità accessibili. Dal settore arrivano, così, alcune proposte di misure anti-crisi. Giovanni Anzani ha ipotizzato di agevolare l’acquisto dei mobili per la prima casa, così come viene agevolato l’acquisto della casa stessa, abbassando l’Iva al 4% e inserendo la spesa all’interno del capitolo del mutuo della casa. “È una proposta – rinforza Anzani – che va presa seriamente in considerazione perché favorirebbe i giovani che non dispongono di ingenti somme. Inoltre, aiuterebbe le nostre fabbriche ad evitare la cassa integrazione dei dipendenti. Al contrario il Governo sta innalzando l’Iva dal 21 al 23% e questo non serve al rilancio dell’economia interna”. È d’accordo Snaidero per il quale “i prodotti destinati alle cucine, al bagno e gli armadi a muro sono immaginabili come arredamento che è parte integrante della casa e dell’opera di ristrutturazione/costruzione della casa”. Non tutti però condividono la proposta di Anzani vista solo come una misura temporanea. Una volta sospesa l’agevolazione si ripresenta la criticità, pensano coloro che preferirebbero misure alternative come investire sulla formazione delle reti di vendita, aumentando la professionalità dei venditori e di conseguenza le vendite nel settore. Secondo Corsini, una misura che il Governo dovrebbe adottare è “aiutare le aziende a investire sulla forza lavoro, garantendo uno sviluppo in meritocrazia. Noi e i nostri affiliati continuiamo ad assumere, cerchiamo di investire in un momento in cui in tanti si tirano indietro, anche noi però a volte veniamo respinti dal sistema che ci circonda, comprese le banche, che non ci permette di fare ciò che vorremmo”.

In questo momento, all’estero sono molto richieste le cucine di grandi dimensioni che incarnino il lifestyle del proprietario, in Italia invece chi non rinuncia al marchio di qualità punta su una cucina più piccola: le cosiddette mini-kitchen. A volte, inoltre, per risparmiare il consumatore italiano è disposto a cedere sul livello qualitativo delle finiture. Per quanto riguarda le misure, “ci sono differenze di prodotto”, ci spiega Gavazzi di Boffi. “In Asia le cucine sono più basse, data l’altezza media degli individui inferiore rispetto ad altri Paesi. In California, a Londra, in Francia e in alcuni Paesi dell’Est, invece, vendiamo cucine molto più grandi. In Italia la dimensione delle cucine è nella media, con una tendenza ad essere più compatte nelle grandi città e nei centri storici, per questione di spazi”.

Le previsioni per il 2012 rimangono all’insegna della negatività. Tenuto conto della recessione in atto in Italia e in molti Paesi UE e delle previsioni riformulate al ribasso per il settore delle costruzioni, per parlare di ripresa si dovrà attendere il 2013, forse. Sarà soprattutto la componente estera della domanda a permettere alle imprese italiane di tirare il fiato ed è proprio per questo che per l’Italia, agganciare i più piccoli segnali della ripresa del commercio mondiale diventerà essenziale già a partire dal prossimo semestre. “Non intravedo miglioramenti per quanto riguarda il mercato italiano – commenta Gavazzi – almeno per i prossimi 2 o 3 anni. Bisognerà abituarsi ad un mercato più piccolo. Aumenterà la competitività tra le aziende e le firme che hanno un brand solido con buone capacità di esportazione potranno rivolgersi all’estero per crescere”. “Nel prossimo triennio – dichiara Pagot – verrà fatta un po’ di pulizia nel mercato. Spero non siano i produttori a chiudere, mentre ritengo ci vorrebbe un cambiamento nella distribuzione. Io, ad esempio, abolirei il credito al consumo perché crea ritardi e problemi nei pagamenti. Il consumatore dovrebbe acquisire consapevolezza e scegliere i prodotti che si può permettere”. Più drastica la visione di Corsini, secondo cui “non torneremo mai ai livelli di 3 o 4 anni fa, dobbiamo tutti adeguarci ad uno status di vita più concreto. Il boom economico, come ci insegna la Storia, non si presenta spesso. Gli italiani dovranno re-immedesimarsi nei consumi e tornare ad individuare quelli primari”.

Fonte: Pambianco News

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