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2015-01-01

Il postino veste cinese

Le imprese non devono fare i conti solo con i pagamenti della pubblica amministrazione dilazionati in tempi lunghissimi. Cosa può capitare ancora agli imprenditori italiani? Per esempio che una gara pubblica agevoli mercati low cost, imprese manifatturiere asiatiche, cinesi in primis, lasciando le eccellenze del made in Italy con un pugno di mosche in mano.
Al peggio, insomma, non c’è mai fine. È proprio quello che sta succedendo con il bando di Poste italiane per la fornitura delle divise per i portalettere. L’accordo quadro (il cui termine per la consegna delle offerte è scaduto lunedì 15 maggio) campeggia sul sito di Poste procurement, il portale dedicato alla gestione delle gare online: si tratta di una commessa per 43.000 completi da lavoro estivi e altrettanti invernali.
Ma sia sul piano dei requisiti poco stringenti per concorrere, sia sul piano dei margini economici bassi, di fatto, questa gara finisce per penalizzare le imprese europee ed italiane. «Con un'altra conseguenza grave», ha detto a Lettera43.it. Mauro Gattinoni, direttore della Confapi di Lecco, «Al di là del caso specifico, infatti, c’è il rischio che ribasso dei prezzi e assenza di controlli diventino principio generale nelle forniture».
L’appalto in questione non è altro che la riproposizione di un precedente bando europeo, risalente al mese di marzo del 2011, stoppato grazie alla dura battaglia ingaggiata proprio dalla Confapi di Lecco insieme con le imprese tessili e dell’indotto locali.
Nel mirino della confederazione, allora, c’erano soprattutto i prezzi al ribasso stabiliti per il kit dei postini.
Una commessa totale di circa 18 milioni di euro che di fatto escludeva le aziende europee e, quindi, quelle italiane, da qualsiasi possibilità di aggiudicazione della gara. Ed è stato proprio sulle condizioni impraticabili nello spazio economico europeo che ha fatto leva Confapi, portando a casa un successo: la Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 26 luglio 2011, infatti, dichiarava l’appalto «non aggiudicato».

Peccato che a distanza di meno di un anno il bando sia stato riproposto tale e quale. «Anzi è stato addirittura peggiorato», ha spiegato Gattinoni, «Il precedente, almeno, era rivolto alle imprese residenti nei confini europei, mentre quest’ultimo favorisce in maniera capziosa i produttori extra Ue al punto che anche un singolo cinese o vietnamita, senza azienda e macchinari alle spalle, può accedervi». Non solo, ma «fa sorridere», ha denunciato ancora il direttore, «che gli unici esclusi siano i Paesi della black list. Salvo deroga, però».
Quale ratio c’è dietro questa politica economica che avvantaggia i mercati low cost a scapito delle imprese italiane? Forse Poste italiane si sta solo avvantaggiando sul fronte della spending review? «Le Poste sono pur sempre emanazione dello Stato», ha replicato Gattinoni, «Non faccio un discorso protezionistico, ma in un contesto di crisi come questo la politica pubblica dovrebbe cercare di aiutare le imprese e sostenere l’occupazione».
Nel mirino della Confapi lecchese, che ha lanciato il suo grido d’allarme sin dal 5 aprile scorso, giorno della pubblicazione dell’avviso in Gazzetta ufficiale, ci sono «due gravi carenze tecniche del bando: l’assenza dell’obbligo di certificazione ambientale e, appunto, della dichiarazione relativa all’elenco dei macchinari utilizzati». Due questioni chiave che la confederazione ha sollevato, con tanto di missive, sia a Poste italiane, sia al ministero dello Sviluppo economico e sia, infine, all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori (Avcp), servizi e forniture. Risultato? Pressoché nullo. «Al ministero dello Sviluppo economico», ha spiegato Gattinoni, «ci hanno detto che la questione non era di loro competenza, bensì dell’Avcp. Mentre l’Autorità e le Poste non ci hanno dato alcuna risposta».
Anche Lettera43.it ha provato a contattare le Poste per approfondire l’origine e la ratio del bando, senza ottenere riscontri soddisfacenti. Quale seguito ha avuto, se ne ha avuto uno, la segnalazione della Confapi di Lecco? Neppure dall’ufficio stampa del ministero dello Sviluppo economico sono arrivati chiarimenti. Stesso discorso per l’Autorità di vigilanza che ha preso tempo per spiegare il suo punto di vista.
Seppure il tempo sia ormai scaduto senza riuscire a far calendarizzare la sua interrogazione sul tema (depositata il 16 aprile scorso in commissione Attività produttive), la deputata democratica, Lucia Codurelli, non si dà per vinta: «Andrò avanti», ha detto a Lettera43.it, «Il governo dovrà pronunciarsi e dire se tale bando è regolare oppure no». Certo, «fa specie che tale caso non riguardi un’industria privata», ha concluso la parlamentare, «e ancora di più che in Italia persista una grande miopia rispetto ai grandi sistemi che funzionano a prescindere dai controlli».
Anche la Confapi lecchese non rimarrà con le mani in mano: «Il 16 maggio, ci attiveremo per capire quali nostre aziende hanno aderito al bando per poi, eventualmente, procedere con i ricorsi e l’apertura di contenziosi».

Fonte: Lettera43

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