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2015-01-01

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Un settore che, nonostante la crisi, denota una solidità di fondo. E che, a sorpresa, genera un saldo commerciale positivo per addetto più consistente rispetto, per esempio, al tessile-abbigliamento o alla meccanica. Questa la fotografia delineata dallo Shoe Report 2012, promosso da Anci (Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani) e presentato a Milano a Palazzo Mezzanotte, sede di Piazza Affari. Il luogo simbolo della finanza italiana non è casuale: quest’anno, infatti, la ricerca è stata focalizzata proprio sul rapporto tra i due mondi, auspicando lo sviluppo di iniziative che mirino a creare circoli virtuosi per entrambi.

Una realtà più forte di come appare. Le scosse subite dal comparto negli ultimi anni non sono state poche, in parallelo con la crisi generale. Per esempio, sono diminuite le imprese (da 7.570 del 2000 a 5.600 attuali, -25,9%) così come gli addetti (i 113.100 di 12 anni fa sono diventati 80.925 nello scorso anno, -28,4%, con un leggero ritocco verso l’alto, però, nel 2011, +1% dell’occupazione dopo almeno 15 anni di perdita di posti di lavoro). Quanto alla produzione nazionale, sono state realizzate 207,4 milioni di paia di scarpe nel 2011, per un valore complessivo di oltre 7 miliardi di euro (+4,8% a valore sul 2010). Rispetto al 2000, si assiste a un calo, compensato da un incremento del prezzo medio a paio che passa dai 21,2 euro di allora ai 34,2 euro nel 2011; il prodotto tende dunque a salire verso il segmento medio-alto.

Il traino dell’export. Le calzature, inoltre, continuano a costituire una parte importante del made in Italy, incidendo significativamente sulla forza esportativa del Paese. Dopo l’annus horribilis del 2009 (-15,9%), nel 2010 l’export del comparto è aumentato del 13,7% e nel 2011 del 12,7%. Le sei aree di destinazione privilegiate sono soprattutto l’Europa (66,3% del casi), l’America settentrionale (10,6%), l’Est Europa e la Csi (Comunità Stati Indipendenti; 9,9% con gradi potenzialità per la Russia), l’Asia (8,4%) e il Medio Oriente (2,4%). Sostanziale solidità produttiva, dunque, per il settore, ma anche forte insediamento territoriale che dura negli anni, specie nei distretti di Marche, Toscana e Veneto, che guidano la classifica per fatturato esportato. Lombardia ed Emilia Romagna completano un quadro in cui si concentra l’86,5% della produzione calzaturiera italiana.

 

Alleanza per la crescita con la finanza. «Far conoscere questa realtà al mondo della finanza non può che far crescere la reciproca comprensione e le opportunità, da un lato di sostenere aziende che puntano a business solidi e dall’altro aprire opportunità commerciali nuove alle imprese che senza un supporto finanziario non potrebbero esistere», ha commentato il presidente di Anci, Cleto Sagripanti, tra i relatori dell’incontro. «Non possiamo dimenticare che oggi vi sono innanzitutto problemi di liquidità delle aziende, derivanti sia dai ritardi o mancati pagamenti dei clienti sia dalla stretta del credito proveniente dalle banche, che porta l’84,7% delle realtà a considerarsi “banche improprie”, creditrici dei propri clienti morosi».

Sulla base dell’analisi promossa da Anci (a cura di Nadio Delai di Ermeneia – Studi & strategie di sistema) esisterebbero fin da subito tra le 25 e le 80 imprese (a seconda delle diverse proiezioni dei dati) che potrebbero già approfittare di strumenti per la crescita o che potrebbero rappresentare investimenti interessanti per il sistema finanziario.
A settembre, infine, partirà il Fondo Italiano di Investimento per le piccole medie imprese che, spiega Sagripanti, «punta su aziende con ricavi tra 10 e 100 milioni di euro: si tratta di un ulteriore segnale per il mondo della finanza della solidità del settore produttivo calzaturiero, spesso lasciato fuori da dinamiche finanziarie senza una vera conoscenza dei pregi del capitale di rischio».

Fonte: BusinessPeople

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