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2015-01-01

Roberto Dona' (professore di strategia e imprenditorialita' alla SDA Bocconi): La Cina chiama, l'Italia non risponde

I cinesi amano l'Italia e ultimamente, grazie all'attività incisiva delle nostre Istituzioni in loco fino alla recente visita del presidente del Consiglio Mario Monti, la nostra immagine è stata ancor più rivitalizzata e valorizzata e grande attenzione è rivolta ai nostri prodotti.

Chi arriva a Shanghai è colpito dal livello di sviluppo e capisce che la domanda è sofisticata, spesso più pronta dell'offerta. In altre parole, i cinesi hanno un’idea chiara di cosa possono acquistare dagli italiani; noi non siamo altrettanto consapevoli di cosa vendere loro.
 
Si potrà obiettare che Shanghai non è la Cina, tuttavia il suo modello di sviluppo, compatibilmente con le differenze territoriali e climatiche, si svilupperà sicuramente altrove.
 
Insomma, loro ci conoscono meglio di quanto crediamo, siamo noi che abbiamo capito ancora poco di loro. Per fare questo bisogna ricordare che la grande complessità del mondo Cina si regge su pochi e semplici principi fondanti. Questo vale nella politica, nella cultura e nel quotidiano: pochi sono i dogmi, molte le declinazioni. I pochi dogmi sono da tutti accettati e seguiti.
 
Nel mondo del business è la stessa cosa. Quando guardano al vecchio mondo, ragionano partendo da macro schemi: la tecnologia è americana, l'auto tedesca, il lusso francese. E l'Italia? L'Italia è lifestyle e noi erroneamente pensiamo che ciò significhi solo un'attrattività verso il mercato consumer, spesso riferendoci a un’accezione del termine più vicina a un concetto di leisure; questo è profondamente sbagliato. Lifestyle afferisce ai valori e alle attitudini e per capire che cosa possono cercare da noi i cinesi bisogna conoscere quali sono appunto i valori che guideranno lo sviluppo della Cina nei prossimi anni.
 
Come è noto l'economia cinese è regolata da piani quinquennali tanto precisi nella loro definizione quanto rigorosamente seguiti nella loro implementazione. I due piani precedenti si sono focalizzati rispettivamente su crescita rapida e sviluppo di una società armoniosa seguendo un fondamentale principio che prima si generano le risorse e poi si spendono. Quello attuale, il 12°, enfatizza il concetto di inclusive growth spostando l'attenzione su riduzione delle disparità, sostenibilità e quindi di qualità nella crescita, attraverso un innalzamento nella catena del valore, sviluppo scientifico, protezione ambientale e maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse.
 
Tutto questo implica una grande attenzione alla qualità, alla cura delle materie prime, all'adozione di processi produttivi sempre più sofisticati, al riuscire a fare bene con poco. Queste cose sono quelle che ci hanno reso famosi e che hanno reso alcune delle nostre industrie leader dei loro settori. Purtroppo in Cina non c'è l'auto italiana ma ci sono imprese come Magneti Marelli e Brembo che si stanno sviluppando perché detengono la tecnologia per migliorare un'auto; la meccanica italiana è indiscutibilmente leader di mercato quando si entra nello specifico di un processo produttivo; il vino italiano, a differenza di altri, ha mediamente un prezzo accessibile ed è di qualità.
 
In pratica esiste un potenziale importante e con aree di sviluppo ancora da esplorare, in un mercato in cui però la vera difficoltà sta nell’essere in grado di rispondere alla domanda. Avere successo in Cina comporta affrontare scale dimensionali dove la capacità produttiva, finanziaria e manageriale delle pmi italiane risulta spesso inadatta.

In pratica abbiamo i prodotti, le tecnologie e il know how per cogliere l'opportunità cinese ma probabilmente la nostra struttura industriale, salvo per le solite eccezioni che confermano la regola, non sempre lo è.

FONTE: VIASARFATTI25.UNIBOCCONI.IT

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