Divanopoli: condannati otto imprenditori, italiani e cinesi
OTTO condanne per un «verdetto storico», dicono le due pasionarie di Divanopoli, Elena e Manuela. Elena Ciocca e Manuela Amadori. «Loro due, col loro gesto coraggioso di denunciare questo stato dei fatti, hanno vinto la battaglia. La procura non cercava vittorie, questo era un processo — è il pensiero a caldo di Fabio Di Vizio, il pm di questa contesa lunga tre anni —. E secondo me questa è una sentenza importante. Importantissima, dal punto di vista del diritto, per la tutela della garanzie dei lavoratori. Il profilo etico-sociale è importante, ma qui oggi ha vinto il diritto» dice Di Vizio, che al momento del verdetto viene affiancato dal capo della procura Sergio Sottani.
SONO passati cinque minuti dalla lettura del verdetto. Elena e Manuela, alle sei mezzo di ieri sera, non smettono di abbracciarsi in aula e fuori, sulla scalinata del tribunale. Gli avvocati difensori si scrutano; attendono di vedere il dispositivo. Quattro imprenditori italiani e altrettanti cinesi sono stati condannati per la violazione delle norme della sicurezza sul lavoro. Quello il cuore della questione. Non rispettando le più elementari disposizioni in materia di diritti degli operai in fabbrica i costi di produzione si abbattevano clamorosamente: nessun servizio igienico, niente pausa pranzo, manovali costretti a lavorare, senza tutele, anche per 18-20 ore al giorno. Il tutto — ha sostenuto l’accusa, accolta dal giudice — grazie a un’alleanza tra forlivesi e cinesi. Questa la novità: gli artigiani italiani hanno ingerito nella gestione dei laboratori del Dragone, avallando le violazioni commesse. Questo ha detto, in sostanza, firmando le condanne, il giudice Giorgio Di Giorgio.
Quattro forlivesi, Silvano Billi, Franco Tartagni, Luciano Garoia ed Ezio Petrini (delle ditte ‘Polaris’, ‘Cosmosalotto’ e ‘TreErre’), hanno incassato un anno a testa; sul fronte cinese, per due artigiani immigrati un anno e nove mesi; a un terzo straniero, un anno e mezzo; 9 mesi di pena per un quarto cinese. A tutti è stato riconosciuto il reato della rimozione e dell’omissione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro. Assolto invece, come aveva chiesto il pm, Claudio Costa, un operaio accusato di essere stato prestanome di un’azienda forlivese. Riconosciuto anche il danno per le parti civili, ossia Comuni di Forlì, Bertinoro e Castrocaro, più Camera di Commercio; danno che verrà però quantificato dal giudice civile. Per i soli imputati forlivesi, il giudice ha disposto anche la rifusione delle spese legali (1800 euro per ciascuna delle parti civili). Entro 90 giorni arriveranno le motivazioni; a quel punto inevitabile che gli avvocati difensori (Marco Martines, Guido Magnisi, Massimo Beleffi e Filippo Poggi) facciano ricorso in Appello. La loro prospettiva è chiara ed esattamente opposta alla visione di Di Vizio: non c’è mai stata nessuna alleanza tra italiani e cinesi; i primi erano semplici committenti, i secondi gestivano le fabbriche a loro piacimento.
PALESEMENTE appagata la schiera degli avvocati delle parti civili, Mario Di Giovanni, Benedetta Grandini, Luca Ferrini, Paolo Dacci, Fabio Malpezzi. Per loro, alla fine delle arringhe, ha preso la parola Mario Di Giovanni, chiedendo espressamente il riconoscimento del danno. E aggiungendo: «Se non ci fosse stata Divanopoli il Comune di Forlì non avrebbe speso più di 200mila euro per combattere la piaga del lavoro nero».
FONTE: ILRESTODELCARLINO.IT