Fiere, un modello tedesco per rifondare il sistema
E’ partita la fase due dell’internazionalizzazione per il mercato fieristico italiano, che punta per questa strada a compensare il rallentamento che caratterizza il mercato italiano. Se per tutto il primo decennio del nuovo secolo la tendenza dominante tra i grandi poli fieristici è stato il focus sui buyer esteri, con l’intento di incrementare gli sbocchi per l’export made in Italy, ora siamo entrati nell’epoca della presenza diretta sui nuovi mercati. Le fiere puntano ad accompagnare le Pmi nei Paesi emergenti e siglano accordi con operatori locali per organizzare in loco momenti espositivi, in modo da puntare direttamente ai luoghi emergenti di consumo. Del resto si tratta di una strada obbligata tanto per i poli espositivi, quanto per le aziende: i metri quadri venduti negli ultimi tempi risultano inferiori del 15-20% alle rilevazioni precrisi e la situazione non sembra destinata a cambiare a breve, a fronte di previsioni di una recessione per tutto l’anno in corso, seguita da una ripresa stentata nel 2013. Secondo un sondaggio condotto dall’Unione Internazionale Fiere tra gli operatori europei del settore, il 50% vede l’uscita dal tunnel nel 2013 e un altro 2014 sposta la svolta al 2014. Di pari passo, nel mercato si sta facendo strada un altro filone: i Paesi emergenti si stanno dotando di quartieri fieristici all’a-vanguardia per servire la domanda crescente che arriva dall’interno e non costringere più gli operatori locali a voli di migliaia di chilometri a caccia dei fornitori. In sostanza, cresce l’offerta che si avvicina sempre più ai nuovi consumatori e per i quartieri europei perde quindi rilevanza la strategia di attirare buyer da Paesi lontani. In questo contesto, il sistema fieristico è chiamato a un rapido ripensamento delle proprie strategie. L’esempio al quale tutti guardano è la Deutsche Messe di Hannover, il polo fieristico più importante al mondo con eventi che riguardano tutti i settori della tecnologia industriale. Fondata nel 1947, la società è evoluta in un network con dieci sussidiarie estere e sei aziende specializzate che coprono tutta la filiera del mercato fieristico, attirando anche azionisti stranieri nella compagine sociale. «L’internazionalizzazione è una strada obbligata tanto per le aziende italiane, alle prese con una debolezza interna destinata a durare ancora diverso tempo, sia per i poli fieristici, chiamati a fare i conti con l’evoluzione internazionale del-l’offerta — commenta Renato Mannheimer, fondatore di Ispo — La salvezza del sistema produttivo italiano passa per l’export, ma non si tratta di una prospettiva a portata di mano per tutti. Esportare non è facile perché necessita di organizzazione e contatti, non sempre a portata delle imprese italiane, per lo più di piccole dimensioni: le fiere sono quindi l’occasione migliore per creare le relazioni e questo spiega la loro importanza anche in tempi di crisi». In una ricerca condotta da Ispo tra gli espositori fieristici, è emerso che proprio la creazione di nuovi rapporti di business rappresenta il maggior motivo di soddisfazione tra chi partecipa a un evento espositivo. «Le fiere italiane oggi sono chiamate ad assecondare la vocazione internazionale delle imprese italiane — precisa Mannheimer — e per farlo devono essere capaci di coordinare al meglio la propria offerta, superando la contrapposizione tra eventi su tematiche simili». In questa direzione si sta muovendo Fiera Milano, il più grande polo fieristico nazionale, che organizza una cinquantina di eventi all’estero. Gli ultimi debutti in ordine di tempo sono stati il Macef (salone della casa) in Brasile e Food Hospitality World (alimentare e attrezzature per l’ospitalità professionale) in India, entrambi organizzati all’inizio dell’estate. I primi passi in questa direzione risalgono in realtà al 2008, quando è stata siglata una joint-venture con Deutsche Messe per creare società congiunte dedite all’organizzazione di in Cina e India. Lo scorso anno c’è stata un’accelerazione con l’ingresso nel mercato brasiliano attraverso l’acquisizione del 75% del capitale del Grupo Cipa (per 36,7 milioni di reais, circa 16,2 milioni di euro). Nello stesso periodo è stata creata la società russa Fiera Milano OOO e quella indiana Fiera Milano India. Con questo approccio la fiera diventa un facilitatore dell’internalizzazione per le pmi italiane, che guardano a quei mercati per fronteggiare la stagnazione dei consumi interni, ma in molti casi non possono contare su una struttura adeguata per agire da sole. L’internazionalizzazione è il tratto dominante anche delle strategie di Veronafiere, che lo scorso anno ha organizzato undici eventi al di fuori dei confini nazionali, con un particolare focus su Stati, Cina e India. Mercati in cima all’interesse degli operatori italiani dei comparti agricolo-alimentare e building, nei quali l’operatore è presente con manifestazioni come Vinitaly, Marmomacc, Samoter, Fieragricola, Siab ed Eurocarne. Bologna Fiere punta su progetti di internazionalizzazione per promuovere settori più vitali del territorio, come il Cersaie, ceramiche e arredo bagno, e Sana, la fiera del biologico. Inoltre punta con decisione alla Cina, divenuto il primo mercato mondiale dell’arte, con Sh Contemporary, vetrina dell’arte asiatica — e cinese in particolare — contemporanea. Con i turchi di Interteks è stato siglato un accordo che ha portato alla nascita Cosmoprof Middle East Istanbul, che mette in vetrina l’intero comparto della cosmetica e della bellezza a livello mondiale, dal packaging all’estetica, dal medicale all’hair, passando per profumeria e cosmesi. Le fiere tedesche primeggiano nettamente in Europa per dimensione media della superficie espositiva. Seguono a grande distanza Francia e Italia
Fonte: Repubblica