Pechino, città aperta al design made in italy
Il giovane cinese si accomoda sulla Vanity rossa di Poltrona Frau con aria soddisfatta, gli amici ridono e scattano una foto. Come loro, i visitatori che a frotte entrano alla Beijing Design Fair, si immergono in un moderno «viaggio in Italia» attraverso le icone del made in Italy. La prima edizione della Fiera del Design di Pechino, promossa e organizzata da Rcs Mediagroup, è tutta italiana e si inserisce come nuova iniziativa nella Beijing Design Week, dal 28 settembre al 6 ottobre, appuntamento strategico che l'anno scorso ha registrato 3 milioni e mezzo di presenze da tutto il mondo e dove Milano quest'anno è città ospite.
L'Italia ha il suo quartier generale nel Watertank, una ex cisterna trasformata in suggestiva sede espositiva circolare, con al centro una piazza per incontri ed eventi, nella zona 751, famoso distretto del design, contiguo al 798, vocato all'arte e alla moda, che hanno rivitalizzato la vecchia area delle fabbriche dismesse. All'interno, la mostra Design Time, curata dallo studio Migliore+Servetto, ha ricreato il life style italiano attraverso gli ambienti, dal soggiorno agli spazi collettivi, con oggetti e arredi made in Italy: «I cinesi spesso pensano allo stile italiano in senso molto classico - dice Ico Migliore -, mentre noi abbiamo una concezione più creativa e romantica della casa».
Alla Design Fair espongono 17 brand italianicon l'obiettivo urgente di fare sistema per conquistare il secondo mercato al mondo del lusso, fatto non solo di un milione di milionari (di dollari) ma di una classe media affollata da giovani facoltosi e affascinata dal nostro way of life. L'incontro ravvicinato con il pubblico punta sull'esposizione dei prodotti e sull'approccio culturale, talk con i protagonisti come Paolo Rizzatto e Carlo Colombo o il Meet Design Show, di Francesca Molteni e Michela Marelli, in cui un attore e una ballerina cinesi hanno messo in scena il loro incontro a Milano e la passione per il design, metafora di seduzione che dalle persone passa allo stile.
Insomma una ventata di aria creativa soffia su Pechino, un'aria anche straordinariamente pulita: la città assuefatta a livelli di inquinamento oltre il parametro 100 (e fino a 500) si risveglia in questi giorni sul 6, cielo azzurro e terso come non si vedeva da qualche anno, assicurano. Tra i cento eventi una mostra, «Geo City-Smart City», espone 60 progetti internazionali per far rinascere Pechino, oggi afflitta da una concentrazione urbana soffocante. Centro nevralgico della Design Week, il 751 dove ieri si è inaugurata la retrospettiva del pioniere dell'architettura contemporanea, Yung Ho Chang, in un luogo simbolo del quartiere, la galleria UCCA, creata da una fondazione tedesca per sostenere la nuova creatività cinese. E qui è atteso l'evento, oggi di Ucca e Rizzoli Beijing, che con l'edizione cinese di Abitare e Abitare Festarch, metteranno a confronto architetti di fama internazionale. Ma se al 751 si respira uno spirito berlinese e underground, fatto di estemporanee performance e di locali affollati, la nuova Mecca dei creativi è Caochangdi, alla periferia nord di Pechino, novità della Design Week, esempio di comunità di artisti nata in modo spontaneo, dove tutti sperano di incontrare un abitante famoso, l'artista Ai Wei Wei, e dove ieri si è inaugurata la collettiva CCD-The community. Simbolo delle sinergie tra Italia e Cina, di cui ha parlato in ogni occasione l'assessore alla cultura di Milano Stefano Boeri, il mensile Interni porterà in questo contesto le installazioni di Alessandro e Francesco Mendini e Zhang Ke.
Mentre Pechino si prepara anche alla grande festa nazionale, domani, colpisce passeggiare per Dashilar, la zona turistica oltre piazza Tienanmen dove l'architettura tipica cinese nasconde le vetrine di Swatch, di Starbucks e di tanti marchi del lusso, e scoprire che i cartelli azzurri della design week ti portano in pochi passi nei vicoli non asfaltati dove gli hutong, le antiche abitazioni oggi affastellate e sovraffollate, celano qua e là spazi animati da giovani creativi, che convivono con la partita a dama di due anziani su un gradino e la bancarella che vende granchi vivi, in uno scampanellio continuo di biciclette. Ma si sa, questa è Pechino. La stessa città del grande, immenso mall cinese Macalline, sul quinto anello, uno dei cento Macalline in 70 città della Cina, dieci piani trasparenti di shopping dedicato alla casa, dall'elettrodomestico all'arredo, che aspira a diventare riferimento per la distribuzione del made in Italy. Sui piani, sterminati, lo stile contemporaneo cinese, primi abbozzi di un design ancora immaturo ma fiducioso, e marchi che a volte suonano astutamente come parole italiane, ed evocano il famoso e ambito «italian style». Qui si rivolgono gli interior designer che arredano le case dei nuovi ricchi, una location che promette clienti, ma, dicono fra le righe alcune aziende italiane, ancora poco in sintonia con i nostri brand di eccellenza. Brand che i cinesi esigono «in originale», contro ogni contraffazione. Anche per questo è nata in questi giorni la nuova sede dell'Adi (associazione design italiana), in Cina. E Silvia Bocchietto, che la presiede, sottolinea il paradosso: «Mentre da noi si fatica a tutelare la proprietà intellettuale del made in Italy, ci hanno pensato in Cina, dove ogni nuova idea viene protetta».
FONTE: CORRIERE.IT