Il Made in torni nell'agenda del Governo Monti
Una lettera aperta è stata inviata al ministro per gli Affari europei Enzo Moavero da un gruppo di europarlamentari (Cristiana Muscardini, Mario Mauro, Niccolò Rinaldi, David Sassoli, Giuseppe Gargani, Lorenzo Fontana) con la richiesta che il prossimo 6 novembre l'incontro previsto a Bruxelles con lui sia sostituito da un incontro, a Roma, con il ministro dello Sviluppo Corrado Passera sul brutale stralcio del dossier Made in. Un'altra missiva è in arrivo indirizzata direttamente al premier.
Lo chiedono anche le imprese, che Mario Monti si faccia carico della questione. «Rimettiamo il Made in nell'agenda del premier: confidiamo nell'autorevolezza del Governo, in Europa e nel mondo, per tutelare la filiera dell'eccellenza europea e italiana». Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo (del quale fa parte anche Confindustria), reagisce così allo shock da colpo di spugna sulla proposta di regolamento per l'etichetta obbligatoria (e sui quasi dieci anni spesi invano nella battaglia per farlo adottare dalla Ue). «Non finisce così, io rappresento non solo le 120 aziende del Comitato, ma tutta la filiera che c'è a monte. Non solo le grandi, ma anche le medio-piccole realtà eccellenti. Dobbiamo rivedere le priorità e rimettere subito in moto il meccanismo comunitario», insiste Todini.
Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia, è la memoria storica della battaglia per il Made in: «La decisione non poteva giungere in un momento meno opportuno – osserva – con l'industria tessile e abbigliamento che fatica quotidianamente ad uscire dalle secche della crisi. Soprattutto così si fa passare il concetto che l'opacità prevale sulla trasparenza. Brucia ancora la sconfitta sui dazi zero al Pakistan, con il Parlamento che ha permesso di contenere, in parte, i danni».
«Movimentista» anche la replica di Cleto Sagripanti, presidente di Anci, l'associazione dei calzaturieri: «Abbiamo fatto pressione al nostro interno perchè non si mollasse la presa sul Made in, la nostra posizione è più che nota. Abbiamo perso contro alcuni Paesi del Nord Europa, ma non dobbiamo mollare la presa».
«Troviamo la scelta sbagliata perché priva i consumatori di una maggiore tutela ed informazione - si legge in una nota del Reparto produzione (ex contadini del tessile)- ma contraria agli interessi delle imprese. Ringraziamo pubblicamente il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi per il suo attivarsi in favore della norma e ci appelliamo al Governo Monti perché agisca in concomitanza con i Governi degli altri Paesi che appoggiavano la proposta. Troppo a lungo si è parlato solo di finanza, il cuore dell'economia europea è nella manifattura».
Ci sono, poi, aspetti tecnici da considerare. Osserva Fabio Massimo, partner di KStudio Associato (Kpmg international), esperto in diritto doganale: «C'è stata in Italia una campagna a presidio del Made in che si è tradotta in una superproduzione normativa, concepita senza considerare le ricadute al passaggio delle merci in dogana. Un caos normativo, dalla legge Reguzzoni Versace all'introduzione del concetto di “fallace indicazione di origine”, che penalizza l'intero made in Italy». «Quella di Bruxelles è una cattiva notizia almeno in parte annunciata – chiosa Cesare Galli, professore di diritto industriale a Parma – il testo del Parlamento scontava alcune contraddizioni col Codice doganale comunitario. In attesa di riavviare l'iter su basi più solide si deve pensare a marchi collettivi già oggi registrabili su base comunitaria, imperniati non solo a livello territoriale, ma anche sulle qualità oggettive delle nostre produzioni».
FONTE: ILSOLE24ORE.COM