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Scatta da oggi la rivoluzione nelle etichette dei prodotti alimentari della Ue. Un’operazione trasparenza voluta da Bruxelles ben tre anni fa ma che oggi alimentano polemiche e accuse: si parla di appesantimenti burocratici eccessivi, dubbi interpretativi ma soprattutto dei danni al made in Italy arrecati con con la volontarietà nell’indicare il sito di produzione. Per la Ue il problema non usiste ma il Governo italiano avrebbe dovuto attivarsi a Bruxelles per mantenere le regole nazionali. Nulla però impedisce che le aziende specifichino in etichetta che la produzione è stata realizzata nel nostro Paese.
In estrema sintesi, le novità introdotte dal Regolamento Cee 1169/2011, impongono: etichette più leggibili con scritte più grandi e più chiare; indicazioni sugli allergeni alimentari e sui tipi di grassi (tolleranza zero per generici “olio vegetale” o “grasso vegetale”); informazioni sulla provenienza delle carni suine, avicole, ovine e caprine, sul paese d’origine delle materie prime utilizzate e, per le congelate, la data di congelamento. Per i pesci si dovrà indicare il luogo di pesca.
Le norme Ue prevedono anche la tanto discussa volontarietà nell’indicazione del sito di produzione di un prodotto alimentare.
Fino a ieri obbligatoria per la legge italiana ma non da oggi per la Ue. Un danno per il made in Italy? Si doveva fare qualcosa in questi tre anni di transizione? Per alcuni si tratta di un danno enorme per il made in Italy: si lascia libertà di produrre in qualsiasi parte del mondo. Su questo fronte si schierano Asdomar, Sterilgarda, Caffè Vergnano, Pedon, Amica Chips insieme a Unes, Conad, Coop, Selex, Simply. E ieri alla Camera il Movimento 5 stelle ha presentato un’interpellanza urgente e una proposta di legge a sostegno del mantenimento dell’obbligo del sito di produzione in etichetta.
Da Bruxelles il responsabile degli affari europei di Federalimentare Paolo Patruno spiega che almeno un Governo italiano, di quelli che si sono avvicendati nell’ultimo triennio, “avrebbe dovuto chiedere e ottenere il permesso di mantenere la sua normativa nazionale. Questo non è stato fatto per varie ragioni, ma nulla vieta alle imprese di mantenere l’indicazione dello stabilimento di produzione sulle confezioni”.
[fonte: emanuelescarci.blog.ilsole24ore.com]