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2015-01-01

Made in Italy di qualit

L’asso nella manica del sistema Paese è la produzione di eccellenza delle Pmi.
E’ arrivato il momento di fare sistema per aiutare le aziende sui mercati globali.

Gran parte del Made in Italy viene generato da sistemi di Pmi che rappresentano un fenomeno tipicamente nostrano tanto da far parlare di vere e proprie multinazionali spontanee. Tuttavia, seppur considerate come vere e proprie stazioni di incubazione del Made in Italy, esse sono chiamate a consolidare il processo intrapreso dal capitalismo di territorio italiano, ovvero la piena connessione con il capitalismo delle reti, fatto di università, reti finanziarie e dell’internazionalizzazione.
Nel capitalismo territoriale, l’Italia conserva il tradizionale profilo di laboratorio, essendo riuscita a mantenere, nel corso degli anni, i caratteri di distintività e di adattamento creativo alle trasformazioni che l’hanno contraddistinta sullo scenario internazionale. Tuttavia, non tutte le esperienze produttive riescono in questo intento, restando legate a strategie incapaci di bilanciare il legame tra prodotto e territorio.
Da più parti si sostiene che il contesto italiano si caratterizza per la presenza di eccellenze di solisti, che non sono mai state collegate in un progetto integrato di valorizzazione e promozione. Se la varietà è una ricchezza, l’eccesso di varietà può penalizzare in un mercato globale.
Queste considerazioni portano a chiedersi fino a che punto può bastare la forte coscienza di luogo a reggere la sfida delle Pmi nella globalizzazione.
Il successo del Made in Italy è legato alla realizzazione di fenomeni volti alla creazione di sistemi forti e stabili di cooperazione tra i soggetti della filiera che funzionino sia sul piano tattico, che su quello strategico consentendo di sviluppare azioni comuni di medio-lungo periodo e avvalendosi di modelli e strumenti di gestione di moderni sistemi cooperativi.
L’evoluzione organizzativa auspicata potrà essere raggiunta però solo a patto che si lavori in un’ottica di sviluppo di servizi alle filiere e di crescita culturale degli imprenditori.
Sarebbe auspicabile, pertanto, predisporre una serie di iniziative finalizzate alla revisione dei modelli organizzativi e operativi secondo logiche di partnership allargata, indispensabili per essere competitivi all’estero, in chiave tecnologica, produttiva e commerciale.
Rifacendosi a una nota metafora introdotta da Bonomi, una delle sfide che il Made in Italy ha di fronte è quella di riuscire ad essere “mosca” o “ragno”. Il Made in Italy-mosca è quello che diventa prigioniero della riproducibilità su una scala industriale mai vista, perché si muove ancora dentro la logica del valore aggiunto, non riuscendo perciò ad accedere agli organi percettivi dell’utente-cliente. Viceversa il Made in Italy-ragno si fa costruttore e organizzatore della ragnatela del valore, ovvero di un sofisticato dispositivo di comunicazione e scambio con l’utente-cliente finale. Per ottemperare al meglio a questo compito il Made in Italy-ragno deve saper tessere la propria tela in quel luogo ideale della globalizzazione in cui si incontrano (e si scontrano) le economie dei flussi e le economie dei luoghi.
Riuscire a tessere e ritessere la tela del Made in Italy-ragno nel luogo di ricomposizione temporanea tra economie caratterizzate dalla scarsa mobilità di capitali e lavoro ed economie contrassegnate dalla fluidità dei ruoli, dalla mobilità dei fattori produttivi, dalla velocità delle comunicazioni significa riuscire a coniugare la tradizione dei saperi taciti – stratificati nella tradizione produttiva dei territori – con tutta l’innovazione connessa allo sviluppo dei saperi codificati appropriabili attraverso il presidio di efficaci porte di sistema sulla globalizzazione dei saperi.
Tali considerazioni portano a concludere che il Made in Italy che vuole essere il brand della qualità italiana, deve trovare la sua manifestazione compiuta nel contemporaneo coinvolgimento di tutti gli attori del territorio: sistema imprenditoriale, sistema scientifico, sistema finanziario. Inoltre, questo richiede anche una fondamentale partecipazione delle istituzioni governative, che devono fornire tutti gli incentivi politici per valorizzare i talenti del nostro territorio.
Solo in questo modo si può riuscire a stabilire una nuova idea di economia e società che coniughi la cultura dello sviluppo basata sulla qualità delle relazioni e delle produzioni, la cultura dell’ambiente e dei rapporti con il territorio, la cultura della responsabilità sociale, per affermare l’Italia nello scenario globale come il più avanzato, attrattivo e suggestivo network delle qualità.

Fonte: IlDenaro.it, lettera di Matteo Rossi ed Elvira Martini

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