La Cina salver
Seta e cachemire, raso e merletti. Inestimabili ingredienti che servono a confezionare i gioielli delle passerelle Made in Italy. Materiali del lusso da indossare che arrivano da tutto il mondo: seta dalla Cina, cachemire dalla Mongolia, cotone dall’Egitto, lana dalla Nuova Zelanda, perché, dicono, quella nostrana è mediocre. Ma la materia prima non basterebbe se a filarla e tesserla non ci fossero le mani espertissime degli italiani. E questo fa la differenza. E’ vero, i paesi emergenti, come la Cina, sono stati scolari diligenti. Hanno imparato a confezionare tessuti perfetti, quasi indistinguibili dagli originali. Tessuti che fanno una concorrenza spietata alle nostre piccole aziende. Gettando nella crisi più nera l’occupazione del settore: dal 2008 a oggi si sono persi 60mila posti di lavoro.
Ma la globalizzazione riserva anche piacevoli sorprese: da concorrenti i cinesi si sono trasformati in un immenso mercato del lusso: in Cina i ricchi sono qualche decina di milioni, destinati a triplicare nel giro di dieci anni. Simile fenomeno in India: un mercato sul quale il Made in Italy non ha perso appeal, anzi: gli stilisti che pensavano all’affare aprendo sedi in Cina hanno prima o poi dovuto chiudere baracca. Perché il fashion, con tutto il suo carico di glamour e esclusività, abita ancora a Milano. E questa, secondo Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia (Smi), è la vera sfida: correre più veloci dei cinesi. Mantenere quel divario di qualità che è il plus valore della produzione italiana. In questo quadro Tronconi saluta con entusiasmo “il ripristino, da parte del governo Monti, dell’Ice, l’istituto per il commercio con l’estero che era stato abolito da Berlusconi”. Uno strumento di sostegno alle esportazioni indispensabile per guidare e orientare la crescita, del 20-30% all’anno, dei gruppi italiani nei mercati emergenti.
All’indomani di una crisi epocale, arrivano i primi segnali di ripresa. Uno studio dello Smi registra un trend positivo, anche se in rallentamento rispetto al 2010 e al primo semestre del 2011. Il giro d’affari complessivo, crescendo del 4,8%, nel 2011 si riporta sopra i 50 miliardi di euro. Un buon risultato, anche se non siamo ancora ai livelli pre-crisi: nel 2007 i miliardi erano 56. L’impulso maggiore viene ancora una volta dall’export, stimato in crescita del 6,2%: le vendite estere si porteranno sugli oltre 26 miliardi di euro. Il saldo commerciale sarà sopra i 6 miliardi. Resta la forte sofferenza occupazionale: si prospetta una contrazione della manodopera di circa 9000 posti di lavoro (-2%). Nel 2012 invece il fatturato totale è previsto in aumento del 5,9%, l’attività produttiva del 6,1%, mentre l’export farebbe registrare un incoraggiante +7,1%. Allo stesso tempo, tuttavia, l’erosione occupazionale dovrebbe proseguire, con una flessione dell’1,9%. Variazioni da considerarsi, tutte, rispetto al primo semestre 2011. Dopo aver subito la concorrenza del lavoro a prezzi stracciati dei cinesi, ironicamente ora l’ancora di salvezza per i lavoratori del tessile italiano è proprio la Cina.
Fonte: Televideo.Rai.it