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2015-01-01

E.Land: ai coreani piace il made in Italy

Sarà che per lungo tempo sono stati compressi tra le dinastie imperiali cinesi e il Giappone. Sarà che al Nord hanno a che fare con un Paese fermo alla Seconda guerra mondiale. Qualunque sia la ragione, i sudcoreani portano con sé un forte senso di insicurezza. Ed è forse proprio questo a renderli dei capitalisti d’eccezione.

Così capaci che, se c’è qualcuno che può dire di aver superato indenne la crisi finanziaria globale, sono proprio loro, tanto che lo scorso anno, nonostante la forte dipendenza dalle esportazioni e il collasso del commercio a livello globale, l’economia del Paese è salita all’undicesimo posto a livello mondiale. Grazie anche alla particolare conformazione delle loro aziende: «from chip to ship», dalle patatine alle navi. I chaebol coreani sono così, conglomerati caratterizzati da un forte controllo familiare, il cui business spazia da un settore all’altro.

E ora stanno facendo capolino anche in Italia. Come nel caso della coreana E.Land che con 30 mila dipendenti in Asia, 7 mila punti vendita e circa 7 miliardi di dollari di fatturato, si accolla debiti, sottoscrive aumenti di capitale e continua a inanellare piani di sviluppo per valorizzare marchi che, altrimenti, difficilmente sarebbero sbarcati sui mercati del Far East.

O semplicemente non sarebbero sopravvissuti alla crisi. Il debutto di E.Land, infatti, è avvenuto in concomitanza al crac del gruppo d’abbigliamento Mariella Burani Fashion Group: era il novembre del 2009 e in quel caso non si arrivò a una proposta concreta, ma il nome del gruppo coreano iniziò a circolare. Un anno dopo, invece, il primo colpo portato a termine: l’acquisizione del gruppo calzaturiero Lario, che gestisce anche il brand Sutor Mantellassi e a cui fanno capo Lorenzo Banfi, Lario 1898, Nebuloni e Bressan e Verdelli.

Poi, è la volta di Mandarina Duck, nome molto noto nel campo della valigeria e pelletteria, acquistato al 100% con un aumento di capitale da 27 milioni di euro.

E così i coreani ci prendono gusto. E dopo un’offerta per rilevare in cordata la Rinascente, il 30 dicembre scorso, mettono a segno anche l’acquisto del 100% della società di pelletteria Coccinelle, dove il fondatore Angelo Mazzieri uscirà definitivamente dall’azionariato, conservando però la guida del gruppo.

Anche questo marchio, insieme a Mandarina Duck, era partecipato da Mosaicon spa, società detenuta da Antichi Pellettieri, a sua volta controllata del gruppo Burani, in amministrazione straordinaria da più di un anno. Mazzieri cederà così a E.Land il suo 49% di Coccinelle, oltre all’usufrutto del 2% detenuto in nuda proprietà, affidando ai colleghi orientali un brand che conta su una rete distributiva di 81 monomarca e oltre 1.250 multimarca in Italia e all’estero.

Ma da dove vengono questi «sconosciuti»? Il gruppo E.Land nasce 30 anni fa dal coreano Park Song Soo, classe ’53. Una storia iniziata nella capitale Seoul, in un negozietto d’abbigliamento da 6 metri quadrati davanti all’università, e che ha portato E.Land a diventare una multinazionale che opera nei grandi magazzini, nei ristoranti e, ovviamente nella moda, di cui la massima espressione è quella made in Italy.

La strategia di E.land è sempre la stessa: la multinazionale asiatica, una volta riuscita ad accaparrarsi un brand, comincia a svilupparlo facendo leva sull’espansione retail. «Anziché andare in tutto il mondo e comprare da terzisti, preferiscono investire direttamente in marchi eccellenti, mantenendone artigianalità ed esclusività» dice a Panorama Economy Cristiano Ottonelli, a.d. di Lario 1898. L’obietttivo di E.Land sui marchi italiani è quello di farli crescere nei mercati tradizionali e «accompagnarli» nel Far East attraverso negozi monomarca.

E l’esempio di Lario è paradigmatico: nei piani di E.Land c’è l’obiettivo di aprire un negozio a Milano e uno a Parigi, più altri quattro in Cina e Corea, con un piano di investimenti per il prossimo triennio di 11 milioni, mentre Mandarina Duck ha appena riaperto il flagship store sotto la Madonnina. E.Land, che ha in pancia una settantina di marchi, sta crescendo anche in Europa: in Gran Bretagna ha brand dalla tradizione storica come Gloverall (montgomery) e Peter Scott (cashmere).

La sua forza è stata quella di sbarcare in Cina a fine anni ’90, dove oggi fattura più di un miliardo di dollari. E ora E.Land vuole consolidarsi. Per il momento, insomma, avrebbe smesso di guardarsi intorno. Eppure, c’è chi scommette che sul suo tavolo ci siano almeno una decina di dossier aperti.

Fonte: Panorama Economy

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