Lo scandalo del falso bio made in Italy, e i silenzi del ministero
Dicembre 2011: in una conferenza stampa la guardia di finanza porta alla luce una frode di grandi dimensioni nel comparto dell’agricoltura biologica. La notizia conquista ovviamente le pagine di tutti i giornali, con titoli che denunciano la “maxitruffa” che sconvolge il mondo dei prodotti “verdi”. E l’eco del “bio taroccato italiano” finisce per approdare, tra molte facili ironie, oltre i confini italiani e fa rapidamente il giro del mondo.
A due mesi di distanza, il Salvagente è riuscito pazientemente a ricostruire la storia scoprendo che, dietro le responsabilità di operatori e certificatori finiti nelle maglie della guardia di finanza ci sono altre responsabilità che arrivano a coinvolgere il ministero delle Politiche agricole e forestali e la sua attività istituzionale di controllore. Come sono andate le cose? Secondo la ricostruzione del nostro giornale, il bubbone scoppia nel 2010, quando la guardia di Finanza e l’ispettorato centrale Controllo qualità e repressione frodi (ICQRF) del ministero puntano l’attenzione, seppur per ragioni differenti, su una quarantina di imprese, tutte operanti nel settore della produzione e della commercializzazione di cereali e frutta fresca in Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Puglia e Sardegna. Le indagini nascono parallele, ma ben presto prendono strade differenti: una, quella dei Finanzieri, si conclude con 7 arresti. L’altra, quella dell’organo ministeriale, si perde nella nebbia.
Quel che si sa con certezza è che, nel 2010, la guardia di Finanza, insospettita da un improvviso aumento di fatturato, inizia a indagare per frode fiscale una quarantina di imprese. Nel corso dell’indagine, però, le Fiamme Gialle si imbattono in ben altro: verificando la tracciabilità dei prodotti immessi sul mercato, infatti, emerge anche che sarebbero state distribuite con etichetta biologica granaglie certificate da un organismo di controllo tedesco, ma da questo (dopo le richieste di conferma da parte degli organismi di controllo italiani) dichiarati falsificati: il prodotto, in gran parte proveniente dalla Romania, risulta sicuro dal punto vista igienico e sanitario, ma ottenuto da coltivazioni “normali”.
I finanzieri in un primo momento quantificano il giro di affari illegale in oltre 220 milioni di euro e in circa 700mila tonnellate di prodotto “taroccato”, poi ridimensionato a meno di 70mila tonnellate, mentre confermano l’entità della frode fiscale (per creare costi deducibili, le imprese indagate avrebbero simulato ripetute compravendite fittizie).
Il giro viene ricostruito con precisione dagli investigatori: alcuni grossisti di granaglie, con la compiacenza di un funzionario e un collaboratore di un organismo di certificazione, trasformavano in “autentico biologico” partite di soia, mais, girasole, frumento, e qualcuna di frutta da trasformazione, in realtà coltivate alla maniera tradizionale.
I militari mandano in laboratorio alcuni di questi prodotti, ma tranquillizzano: “Sulla base delle analisi effettuate non ci risulta esserci pericolo per chi li ha consumati”, spiega il colonnello della guardia di finanza Bruno Biagi. In ogni caso, i prodotti sono stati in massima parte destinati all’alimentazione animale. Ma non per questo la vicenda perde di importanza. La frode lede il principio fondamentale di chi compra biologico, la fiducia dei consumatori in un sistema di controlli indipendente che giustifica, anche in tempo di crisi economica, una spesa maggiore per portare in tavola un prodotto che “farà bene” perché è stato creato e allevato secondo parametri precisi e nel pieno rispetto dell’ambiente.
Il vero problema è che in questa circostanza il sistema dei controlli non ha funzionato.
E qui finisce l’attività delle Fiamme Gialle.
Dai documenti risulta, infatti, che nel 2010 l’Istituto aveva segnalato una notizia di reato alla Procura della Repubblica di Macerata relativa all’azienda Fattoria della Speranza. Dopo pochi mesi, ad agosto, l’ICQRF invia una nuova denuncia alla Procura di Verona, a carico di altre aziende. Atti che presumono la conoscenza di illeciti gravi, ma di fronte ai quali ICQRF non attiva alcun allarme, nessuna azione di verifica. Nulla viene fatto per allertare il mercato e il sistema di certificazione secondo quanto prevede la normativa europea del biologico. A quanto ci risulta, non viene informato neppure l’ufficio del ministero che si occupa di biologico, che pure avrebbe dovuto diramare l’allerta all’Unione europea e gli altri Stati membri.
Come se non bastasse l’organismo di certificazione Suolo e Salute a fine ottobre 2010 ha informato i carabinieri del ministero delle Politiche agricole della scoperta di certificati falsi. E gli altri certificatori che hanno scoperto certificati falsi l’hanno notificato al ministero fino alla primavera 2011, sempre senza che venisse sollevato alcuno scandalo.
È questo il ruolo dell’ispettorato, controllare e tacere? Se così non fosse perché il ministero s’è lasciato travolgere da questa vicenda senza chiederne conto al suo ICQRF?
Quel che è certo, spiega Paolo Carnemolla, presidente di FederBio, è che “se l’ICQRF non avesse agito in silenzio e avesse approfondito ciò di cui era venuto a conoscenza, attivando subito anche gli organismi di certificazione, avremmo probabilmente ridimensionato una vicenda che ha gettato discredito su tutto il mondo del biologico”. E, aggiungiamo noi, il mercato sarebbe stato ripulito con molto anticipo.
“Quanto è accaduto conferma la nostra richiesta di un miglioramento dei sistemi di scambio di informazione e di banche dati, perché l’unico modo per prevenire fatti di questa gravità è che tutte le informazioni alla trasparenza del mercato siano disponibili in tempo reale per tutti i soggetti interessati”, dice il presidente della Federazione che, per tutelare l’immagine delle quasi 50mila aziende biologiche, si è costituita parte civile nei giudizi per frode.
In secondo luogo, qualcosa non ha funzionato neanche nell’organizzazione dell’ufficio SAQ X del ministero che è l’autorità competente per il biologico. Inspiegabilmente, l’ufficio è rimasto inerte anche quando le informazioni hanno finalmente iniziato a circolare: a gennaio 2011, ad esempio, è stato informato dell’intera vicenda dall’organismo di certificazione della principale azienda indagata, ma non ha fatto nulla per limitare la circolazione dei prodotti taroccati e informare la Commissione europea (che minaccia una procedura d’infrazione contro l’Italia) e gli altri Stati membri.
Il cerchio delle responsabilità, ovviamente, non si chiude qui: anche gli organismi di certificazione hanno giocato un ruolo di spicco in questa vicenda: “Non tutti, ma alcuni certificatori hanno scontato evidenti difetti di operatività. Seppur non obbligati a farlo, avrebbero potuto verificare immediatamente alcune transazioni palesemente sospette, in particolare provenienti dalla Romania, allertati dal fatto che quantità crescenti di questi prodotti a prezzi relativamente bassi stavano invadendo il mercato. Inoltre si è dimostrato carente lo scambio di informazioni, e chi ha architettato la frode ne ha approfittato per operare indisturbato”, denuncia Carnemolla.
È questa l’efficacia del sistema di controllo e certificazione? Quel che emerge dalla nostra inchiesta è che il sistema non è del tutto perfetto, che qualche falla esiste, nei nostri confini e all’estero. E non è certamente questo il sistema di controlli che si aspettano i consumatori quando acquistano i prodotti biologici.
Fonte: Ilsalvagente.it