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2015-01-01

l' Arena, intervista ad Alberto Bombassei: «Conosco bene la media impresa e i suoi problemi»

Dicono che sia in svantaggio e proprio per questo Alberto Bombassei conta sul Veneto. Ieri al ristorante Marco Polo di Mestre, poche ore dopo il passaggio a queste latitudini del concorrente Squinzi, ha invitato a cena i rappresentanti delle territoriali nordestine per convincere gli associati a puntare su di lui. L'esito del confronto a distanza è ancora incerto.

Partiamo con una curiosità geografica. Il fatto che lei sia nato a Vicenza autorizzerebbe a ritenerla, in caso dovesse prevalere, un presidente che certamente avrebbe a cuore il Veneto. Al di là di quello che c'è scritto sulla carta d'identità, perché il metalmeccanico Bombassei ritenuto vicino alla Fiat è il candidato più indicato per sostenere gli interessi dei tanti piccoli e medi imprenditori veneti?
«So bene quali sono le sfide e le esigenze della piccola e media impresa. Quando abbiamo intrapreso la nostra avventura imprenditoriale, Brembo era poco più di un'officina, con pochi operai. Da allora sono passati 50 anni, e il mondo è cambiato; le piccole dimensioni devono essere vissute come una condizione di passaggio, per le imprese che aspirano - devono aspirare - a crescere, internazionalizzare il business e rinnovare. In questo, tra l'altro, le Pmi non sono diverse dalle grandi».

Questione Fiat e sua uscita da Confindustria. Marchionne ha dichiarato che qualora lei diventasse presidente di Confindustria il gruppo torinese tornerebbe a iscriversi. Pensa che questa affermazione possa più avvantaggiarla o danneggiarla?
«In Confindustria Fiat riscuote da sempre amori e odii. Penso tuttavia che l'importanza della dichiarazione di Marchionne stia nell'aver dato voce ad un'esigenza di rinnovamento ampiamente condivisa. Per la verità, nei miei tanti incontri con gli associati, si tratta di un'esigenza espressa dalle grandi così come dalle piccole e medie imprese, e dalle associazioni di categoria. Tutti hanno ben presente che un ripensamento di Confindustria è necessaria per renderla più efficiente, più concreta, più vicina agli associati; chi chiude gli occhi di fronte a questo, commette un errore».

Sull'articolo 18 lei ha sempre mantenuto posizioni abbastanza nette, tanto da meritarsi la fama di duro nei confronti della Cgil. Ultimamente, però, ha criticato Emma Marcegaglia per aver usato "toni esagerati" nei confronti dei sindacati. L'articolo 18 è una questione fondamentale della riforma del lavoro o una questione che riguarda la riforma della giustizia? «La mia presa di distanza è stata una semplificazione mediatica. Non ho criticato Emma, per me non avrebbe avuto senso, specie in un momento in cui tutta la Confindustria si trova finalmente unita su di una posizione che ho da sempre condiviso. La sostanza di quello che ha detto è assolutamente in linea con il mio pensiero: non vorremmo che il sindacato utilizzasse l'articolo18 come un alibi per difendere comportamenti poco virtuosi, che nell'articolo, trovano purtroppo tutela. Non vorrei inoltre che l'articolo 18 monopolizzasse il tema della necessaria riforma del mercato del lavoro. Se la priorità è creare i presupposti per tornare a pensare in termini di sviluppo del Paese, è necessario supportare la flessibilità in entrata e in uscita attraverso garanzie, forme di sostegno al reddito e soprattutto formazione. Questo tipo di “flessibilità responsabile” sarebbe un volano straordinario per le stesse assunzioni».

Questo è un Paese che ha una sfilza infinita di contratti nazionali e che però fa fatica a spostare il peso della trattativa a livello territoriale. Come riformerebbe il tutto? E come dividerebbe in percentuale il peso dello stipendio tra componente nazionale, territoriale e aziendale?
«È da tempo che con i sindacati abbiamo posto l'attenzione sulla necessità di razionalizzare il numero dei contratti collettivi nazionali di categoria. Un'operazione non facile, ma le riforme che abbiamo concluso nel 2009 e completato con l'accordo del giugno scorso, sono la chiave di volta per raggiungere anche questi risultati. Abbiamo lavorato ad un sistema che tende a spostare sempre più il baricentro dalla contrattazione di settore a quella di secondo livello».

Confindustria, l'ha detto più volte anche lei, deve restare distante dalla politica. Anche da un governo tecnico come quello di Mario Monti? Che giudizio dà di questi primi mesi dei professori alla guida dell'esecutivo?
«Chiarisco: l'Associazione deve essere un interlocutore autorevole della politica, non solo nazionale ma anche europea. Non può però esistere in funzione della politica, ma rimanere un soggetto autonomo e “terzo”; soprattutto, non deve mutuarne i meccanismi più opachi. Ogni giudizio sull'azione di Governo non può prescindere dallo stato di emergenza che ha dovuto affrontare; sono convinto che l'abbia fatto in modo efficace, e che questo sia stato un segnale positivo per la comunità internazionale. Adesso però è venuto il momento di concentrarsi sugli interventi per la crescita, partendo da un abbassamento della tassazione».

Ha già un'idea di quella che sarà la sua squadra in viale dell'Astronomia? Ci saranno poche vicepresidenze di peso o tante per rappresentare le territoriali? E nel primo caso, pensa che al Veneto debba comunque spettare un ruolo?
«Una parte importante del mio programma riguarda proprio la necessità di rendere l'Associazione più efficace. Il modello è quello di un team fatto di persone di grande professionalità, che gestiscano con grande autonomia deleghe specifiche nell'ambito di un coordinamento forte. Il Nordest dovrà certamente farne parte».

Restando in ambito associativo, lei ha parlato di una necessità di snellimento della struttura. Non teme di trovare ostilità interne lungo questa strada?
«Certo. Ma è da tempo che gli imprenditori associati esprimono la necessità di una nuova Confindustria più flessibile ed efficiente, senza sovrapposizioni, in grado di dare alle imprese un luogo efficace di rappresentanza. Confindustria sia a livello centrale che nel territorio deve essere un luogo ambito per le migliori professionalità del Paese. L'alternativa è assistere ad una delegittimazione dell'Associazione e, in ultima istanza, alla dispersione di un incredibile patrimonio che tutte le imprese del Paese condividono».

Gli stipendi dei lavoratori italiani sono più bassi di altri Paesi Ue, anche per la componente fiscale molto pesante. Come si può intervenire, tenuto conto che di tagli alle imposte in questo periodo non si parla? Si può, in questo campo, fare un accordo con i sindacati?
«I salari crescono se aumenta la competitività del Paese e delle imprese. È su questo che da adesso in poi devono concentrarsi gli sforzi di tutti: Governo, imprese e sindacati. Certo, occorre alleggerire il fisco sul lavoro; l'azione che il Governo Monti ha intrapreso sul versante fiscale potrebbe portare qualche novità in tal senso. Il problema, come sempre, è il tempo».

Venendo ad alcuni tempi specifici, Verona ha un ruolo strategico in alcuni settori come l'agroalimentare e con la Fiera diventa propulsore del made in Italy nel mondo; ma il sistema fieristico nazionale non trova un suo equilibrio per evitare lotte interne e muoversi uniformemente verso l'estero. Vede una possibilità di trovare all'interno della Cfi, l'associazione di categoria di Confindustria, un accordo nazionale?
«È assolutamente indispensabile. Il sistema fieristico nazionale è uno strumento formidabile per le nostre imprese. Devono essere specializzate e qualificate. L'accordo va trovato dentro Confindustria».

A Brescia l'Aib si è espressa a favore di Bombassei mentre, il giorno seguente, la potente Federacciai per Squinzi. Una situazione che complica le cose? O solo solo dialettica interna? «Penso siano le normali dinamiche del confronto democratico. Dobbiamo però evitare le forzature mediatiche. Alla fine decideranno gli associati con autonomia e responsabilità».

Fonte: L'Arena, intervista di Massimo Smiderle

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