Internazionalizzazione: parola d
“Internazionalizzazione” è un termine che fa pensare a grandi ed affermate imprese, se non a corporates di fama mondiale. Di certo non rimanda, in maniera immediata, a quelle tre parole che caratterizzano fortemente il panorama economico italiano: Piccole e Medie Imprese. Eppure, ci dice il rapporto “Le PMI e la sfida dell’internazionalizzazione” del Centro Studi CNA, esse producono il 70% dell’export del Bel Paese, quel made in Italy che, nel mondo, è simbolo indiscusso di creatività e qualità.
Sempre più le imprese italiane sembrano guardare oltre gli orizzonti nazionali, ma, come ogni nuova sfida che si rispetti, anche quella vissuta oggi dalla nostra realtà economica richiede figure formate a ricoprire ruoli che spingano al grande salto verso l’estero.
Il naturale terreno fertile per lo sviluppo di tali competenze è, o dovrebbe essere, quello universitario: sono molti, infatti, i centri accademici che si mostrano attenti allo sviluppo di questa vocazione internazionale e che costruiscono ad hoc le proprie proposte formative. Ne proponiamo tre esempi su tutti, rispettivamente a sud, al centro e a nord della Penisola.
Il primo è costituito da una città che per la sua natura storica e geografica è da sempre luogo di convergenza delle più svariate culture: Palermo e la sua Università da tempo hanno percepito l’importanza di una declinazione internazionale del proprio operato. Da qui l’istituzione di ben quattro lauree congiunte che, prevedendo la frequenza di lezioni in più Paesi, rilasciano un titolo di studio sia italiano che estero. Accanto a queste, di notevole rilevanza sono anche i progetti di cooperazione internazionale – per esempio con Burundi e Cambogia – e i “visiting professor” – professori stranieri invitati a tenere seminari integrativi.
Altra importante realtà è portata avanti dall’Università degli Studi di Teramo, che ha veicolato i propri sforzi “internazionali” verso la formazione postlaurea. Si contano infatti 12 borse di dottorato di ricerca a indirizzo tecnologico-scientifico finanziate dalla Regione Abruzzo, che prevedono una permanenza all’estero di almeno dodici mesi presso centri di ricerca di primo livello come quelli di La Paz, Zara o Berlino. Inoltre, da segnalare la collaborazione della Facoltà di Agraria in Iseki Food-4, network internazionale per la ricerca e la formazione nel settore delle tecnologie alimentari ed il Master di secondo livello in “International Cooperation against Transnational Financial Organised Crime”.
Sempre nell’ambito del postlaurea si orientano le scelte dell’Università degli Studi di Bergamo, che proponendo i suoi “International Master Degree Courses”, spinge oltre confine ben tre facoltà: Ingegneria, Economia,Lingue e Letterature Straniere. Rispettivamente, i master ricoprono settori quali “Management Engineering”, “Management, Finance and International Business”, “Planning and Management of Tourism Systems”.
Ma l’internazionalizzazione non deve comunque far perdere di vista la specificità italiana delle Pmi. E’ per questo che, riporta il rapporto CSN, è importante rinvigorire le offerte formative di master di primo e secondo livello “pensati specificatamente per le esigenze della piccola e media impresa. Questi pacchetti formativi devono essere il risultato di uno sforzo congiunto di progettazione fra Università e Associazioni di categoria”.
In particolare, il rapporto suggerisce alle imprese di porre particolare attenzione ai giovani laureati in lingue orientali, ai laureati in comunicazione o scienze politiche con indirizzo internazionale: tali titoli di studio, infatti, se ben valorizzati, possono costituire una risorsa determinante per il percorso di internazionalizzazione.
Diffondere questa sensibilità tra imprese, istituzioni e centri universitari potrebbe essere il valore aggiunto dell’economia italiana e trasformare i giovani di oggi in competenti rappresentanti dell’Italia nel mondo di domani.
Fonte: Controcampus.it