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2015-01-01

La cura Monti non aiuta l'export del lusso

Non è destinata a durare a lungo, probabilmente fino al secondo semestre. Però in queste settimane è sempre maggiore il numero degli analisti internazionali che vedono come già in corso una frenata delle vendite di beni di lusso in Cina e che calcolano per il 2012 una crescita complessiva non superiore al 9-10% dell'intero mercato cinese di prodotti top di gamma. In pratica la metà dei risultati 2011.
Sono numeri comunque importanti, come spiegava un paio di giorni fa il presidente della Camera Nazionale della Moda Mario Boselli, di ritorno da una missione a Beijing con i tessutai di Milano Unica, la fiera che riunisce tutti i grandi operatori del settore, e che vede ancora «una straordinaria fame di acquisti» in Cina.
Soprattutto, sono numeri stellarmente lontani dal -3% che si attende a fine 2012 per le vendite di moda e di beni di lusso in Italia, il peggior risultato da oltre 10 anni e che, da una valutazione empirica, fatta di consultazioni pressoché quotidiane con i buyer e i produttori, deve essere ulteriormente rivisto al ribasso (al momento, in Italia, le vendite sono tutte concentrate sui turisti).
L'ORIENTE FRENA LO SHOPPING.  Però, è possibile che il mantra ripetuto e rilanciato ormai da anni da tutti i produttori di abbigliamento e di accessori in Italia, e che potrebbe riassumersi in «tutto va male, per fortuna c'è Beijing», dovrà essere rivisto e rivalutato. Perché sui marchi maggiormente esposti fra Guang Zhou e Shanghai i risultati di questo primo trimestre, e con ogni probabilità anche del secondo, rischiano di riservare parecchie sorprese, e persino Hong Kong, hub tuttora imbattuto di carichi sempre maggiori di merci e di scambi di titoli (i 2/3 delle attività mobiliari continuano a passare da lì), potrebbe avere qualche problema di stoccaggio: magazzini pieni, richiesta rallentata.
I primi segnali di frenata, non a caso, sono arrivati forti e chiari una decina di giorni fa proprio da lì, dove viene trattato anche il titolo Prada, per esempio. I motivi? Un mercato immobiliare meno brillante rispetto a solo sei mesi fa, la sospensione o il rallentamento delle attività per il Capodanno, la maggiore mobilità dei cinesi.
Tutte condizioni transitorie, naturalmente, e a cui il governo di Hu Jintao dovrebbe apportare anche secondo Boselli «i necessari correttivi» (mobilità esclusa, si intende: il turismo è anzi decisamente sostenuto) entro brevissimo.

Uno studio riservato di Nomura, uno dei maggiori operatori mondiali consiglia però, per il momento, di ridurre gli acquisti sui brand di lusso più esposti in Cina, e al contrario di mantenere una posizione «neutra» (tendenzialmente, hold) su quelli maggiormente coinvolti dall'andamento del mercato americano, in leggera ma costante ripresa, e di Luxottica in particolare.
Stime caute arrivano anche per Tod's, non certo per la solidità del brand in sé, ma a causa del suo forte radicamento sul territorio italiano, che a dispetto di quanto potrebbe apparire dalla lettura dei quotidiani nazionali, non è ancora e affatto considerato fuori pericolo o in via di risanamento stabile.
Ed è anche questo uno dei motivi per cui gli studi di cui siamo entrati in possesso in queste settimane mantengono il «buy» sui titoli francesi come PPR, sempre più focalizzato sul lifestyle e sempre meno sulla grande distribuzione, e su LVMH, forse il gruppo del lusso mondiale maggiormente presente in Cina, con ritmi di aperture di negozi strabiliante (la media, fra tutti i marchi controllati, è di uno alla settimana: non passa giorno senza che la mail della stampa venga sollecitata da un nuovo comunicato), e invece si dimostra interlocutorio sui nomi del lusso italiano.
Par di capire che la decisione di Prada di quotarsi a Hong Kong sia stata la migliore di questi ultimi anni, perché sugli altri marchi nazionali quotati la valutazione migliore è quella di Ferragamo: neutro.

Pensare che il mercato interno, da dove i prodotti made in Italy vengono, nomen omen, creati, possa essere in recessione e che solo l'export risolverà bilanci e sentiment, valutazioni tangibili e intangibili, è un'idea fortemente miope.
Un sistema Paese in gravi difficoltà, in cui molti, troppi ingranaggi sono in affanno, non può che danneggiare anche il famoso, bellissimo prodotto finale che poi verrà avviato all'export. Se ne sono resi conto gli analisti di Londra, di New York, di Tokyo che non a caso, due settimane dopo lo tsunami, già si affannava a far vedere al mondo come la produzione non si fosse affatto fermata, e i siti fossero solo stati temporaneamente spostati in aree sicure, in attesa che i lavori di ristrutturazione e recupero delle fabbriche distrutte venissero terminati.
Le misure di salvaguardia della produzione e della distribuzione non valgono solo per il mercato interno, questo Mario Monti dovrebbe saperlo benissimo.

Fonte: Lettera43

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