Così la legge aiuta i falsari del Made in Italy
Un mercato da 7 miliardi. Ma dopo la depenalizzazione i sequestri sono crollati del 90 per cento
Il falso Made in Italy si sequestra sempre meno, ma non perché il traffico di prodotti contraffatti sia diminuito. A tenere le mani legate agli agenti delle dogane è una serie di leggi, che hanno reso molto più difficili i controlli. Un dato dell’Agenzia delle Dogane rende l’idea: nel 2009 i sequestri classificati sotto la voce “violazioni Made in Italy e Accordo di Madrid” riguardavano 9,5 milioni di pezzi, per un valore stimato di 15,9 milioni di euro. Nel 2012 il numero di prodotti bloccati è sceso a 1 milione e il valore corrispondente a 6 milioni di euro. A dare le cifre è stato lo stesso direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli, Giuseppe Peleggi, in un’audizione alla Camera del giugno 2013. Da allora non è cambiato molto, dato che il Libro Blu 2014 dell’agenzia parla di 1,5 milioni di pezzi sequestrati.
Fonte: Agenzia delle Dogane
Come si è arrivati a un calo così rapido? Modificando, nel 2009, la legge che disciplinava i sequestri di merci con “false e fallaci indicazione di origine”. Secondo la legge finanziaria del 2004 (legge 350 del 2003, articolo 4, comma 49), l’uso di segni e figure che possa indurre il consumatore a credere che la merce sia di origine italiana (per esempio, scrivendo Made in Italy o mettendo una bandiera italiana), aveva una rilevanza penale. Lo stesso valeva per l’uso di marchi aziendali, ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli.
Poi, nel 2009, due modifiche al comma 49 (49-bis e ter, con la legge 166 del 2009, articolo 16) hanno trasformato il reato in illecito amministrativo (con una multa da 10mila a 250mila euro) e hanno spostato il momento del controllo: non più quando le merci entrano nei punti doganali, ma quando vengono commercializzate. Come ha denunciato il direttore delle Dogane, in questo si è reso «molto meno efficace il controllo stesso», perché spetta alla Gdf fare controlli su migliaia di punti vendita (o presso i venditori ambulanti) per capire se un prodotto è contraffatto. Nel 2012 le sanzioni totali, a fronte di un milione di pezzi sequestrati, sono state solo di 419mila euro.
Non è finita, perché, ha spiegato Peleggi alla Camera, ci sono altri due ostacoli nei confronti di chi fa i controlli: da una parte «l’interpretazione della Cassazione, relativa alla scelta di individuare nel produttore giuridico e non nel luogo di produzione fisico il presupposto per decidere la liceità della condotta», che «ha reso di fatto di difficile applicazione la normativa a tutela del Made in Italy, privilegiando, in effetti, la produzione delocalizzata».
Dall’altra il fatto che il tentativo di rendere più severa e chiara l’etichetta sui prodotti Made in Italy ha fatto acqua da tutte le parti. Per dirla con Peleggi, «la normativa in tema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi nei settori del tessile, della pelletteria e del calzaturificio, legge 8 aprile 2010 n. 55 (Reguzzoni - Versace) non ha trovato una concreta attuazione, a causa dei rilievi alla stessa formulati dalla Commissione europea».
I mezzi per i sequestri le Dogane li avrebbero. Dagli scanner a raggi X per la verifica dei container a Falstaff, un’applicazione informatica realizzata dall’Agenzia che mette a disposizione dei funzionari addetti ai controlli informazioni utili a riconoscere le contraffazioni.
Secondo le stime di Sos Impresa-Confesercenti, contenute all'interno del XII rapporto 2010, dal titolo «Le mani della criminalità sulle imprese», il valore della contraffazione per il mercato italiano si attesterebbe intorno a una cifra pari a 6,5 miliardi di euro; secondo Confindustria, il valore complessivo dei prodotti contraffatti in Italia ammonterebbe a 7 miliardi di euro.
La battaglia (persa) per cambiare la legge
In Parlamento il Movimento Cinque Stelle ha tentato - invano - di abolire la depenalizzazione delle “false o fallaci indicazioni” dei prodotti importati. «Dopo l’audizione del direttore dell’Agenzia delle Dogane, ho presentato una mozione che impegnava il governo a cambiare gli articoli», spiega Mattia Fantinati, deputato dell’M5s e membro della Commissione parlamentare d’Inchiesta sui fenomeni della contraffazione. «Sia il governo che tutto il Parlamento hanno dato il disco verde, all’unanimità. Finché, quando ho trovato un decreto in cui inserire l’emendamento (il decreto Competitività, ndr), è arrivato lo stop del ministero dell’Agricoltura, anzi del ministro Martina in persona». Secondo Fantinati il ministero dell’Agricoltura «si è appellato a direttive europee, ma non hanno specificato quali, e non hanno mai dati una versione definitiva».
Dopo la prima bocciatura, continua Fantinati, e dopo un accordo con la Coldiretti, le pretese sono state abbassate. Si è deciso di lasciare l’ammenda, invece del reato penale, ma di rendere possibile il sequestro dei prodotti contraffatti alle Dogane e non in fase di commercializzazione. «Una volta trovato il testo che andava bene al Mipaf (ministero Agricoltura e politiche forestali, ndr), a bloccarlo è stato il Mise (ministero Sviluppo economico, ndr)». Il deputato grillino non nasconde l’amarezza. Secondo Fantinati «il Mise non ha mai dato una spiegazione convincente. A pensare male si fa peccato ma a volte ci si prende: quello che sta succedendo è un gioco a rimpiattino tra i due ministeri, probabilmente per aiutare le grandi aziende che delocalizzano».
Nelle scorse settimane l’emendamento è stato inserito nello Sblocca Italia. Ma è finito su un binario morto, dopo la decisione del governo di porre la fiducia. Sarà presentato un ordine del giorno (il testo), martedì 28 ottobre, per impegnare il governo a cambiare la legge. «Non diranno di no, un ok a un ordine del giorno non si nega a nessuno - conclude Fantinati -. Ma se non hanno fatto niente dopo una mozione, non lo faranno neanche in questo caso».
[fonte: linkiesta.it]