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2015-07-15

Una speranza per l'export italiano: così si aggira l'embargo russo

Una sentenza che fa aprire uno spiraglio al commercio ormai praticamente azzerato nel campo agroalimentare con la Russia.

Una sentenza della Corte di San Pietroburgo che potrebbe permettere di aggirare il divieto alle importazioni imposto da Putin in risposta alle sanzioni dell'Europa.

Come riporta ItaliaOggi, la Corte arbitrale russa ha annullato una sanzione a carico di un esercizio commerciale trovato in possesso di beni sottoposti alle restrizioni. L'agenzia federale per la tutela dei consumatori, la Rospotrebnadzor, aveva contestato ad un food shop Magnit la presenza sugli scaffali di un formaggio francese la cui importazione è vietata. L'ammenda prevista per illecito amministrativo era di circa 500 euro, che ora il magnate russo Sergei Galitsky preprietario della catena alimentare non dovrà pagare. Ma non è questo il punto. I legali della Margit, infatti, avevano presentato ricorso, sostenendo che l'esercizio commerciale fosse solo il mero venditore del bene, non l'importatore, quindi non sanzionabile. Il giudice di San Pietroburgo gli ha dato ragione: la Magrit, non avendo importato il bene sottoposto a restrizioni, non può essere considerata colpevole.

In questo modo si aprono alcune possibilità per le esportazioni italiane. Lavorando sul filo della legalità, infatti, ai negozi italiani o russi che vendono prodotti europei basta essere in grado di dimostrare di non essere i responsabili dell'importazione del bene per non essere multati.

In che modo? Le opportunità sono due: con lo sdoppiamento della personalità giuridica o con l'importazione parallela attraverso i varchi doganali con Bielorussia, Kazakistan, Ucraina e Serbia, i venditori di formaggi e mozzarelle italiane potrebbero riuscire a ottenere i prodotti senza risultare colpevoli di aver introdotto in Russia beni illegali.

Si può fare, certo, ma sono operazioni rischiose. Il rappresentante commerciale russo in Italia, Igor Karavaev, ha detto infatti a ItaliaOggi che "è una pratica possibile, ma si chiama contrabbando". Uno spiraglio troppo piccolo però per permettere alle aziende italiane colpite dalle sanzioni di riprendere le grandi quote di mercato che dall'agosto del 2014 sono state perse.

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