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2015-01-01

Cresce la voglia di fare impresa

Una crescita più lenta nel 2011 rispetto all’anno precedente, ma decisamente migliore nel confronto con il triennio 2007-2009. Un segno positivo che – visto il momento di generale sfiducia – viene comunque salutato come buona notizia. È quanto emerge, in estrema sintesi, da un'indagine Movimpresa di qualche settiman fa; l’analisi statistica trimestrale sulla natalità e mortalità delle imprese italiane, condotta da Infocamere, per conto di Unioncamere, sugli archivi di tutte le Camere di Commercio italiane, e presentata dal Presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello lo scorso 25 gennaio a Reggio Emilia, nel corso delle celebrazioni per i centocinquant’anni della legge istitutiva delle Camere di commercio.

L’impresa – ha sottolineato Dardanello in quell'occasione – resta un’àncora fondamentale per la tenuta del tessuto sociale, oltre che economico, del Paese. Soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo attraversando”.

Entriamo, allora, nello specifico dei dati rilevati: tra gennaio e dicembre 2011 sembrano essere nate ben 391.310 nuove imprese (contro le oltre 410mila nate nel 2010), mentre 341.081 sono state costrette a chiudere la propria attività (contro le 338mila che hanno chiuso i battenti nel 2010). La differenza tra i due dati porta alla conclusione che a fine anno il saldo imprese si sia attestato sulle 50.229 unità in più rispetto alla fine del 2010, facendo raggiungere la quota complessiva di 6.110.074 imprese iscritte ai Registri delle Camere di commercio (pari a circa un’impresa ogni dieci abitanti).

In termini percentuali, nell’ultimo anno il tasso di crescita è stato pari allo 0,82%, percentuale in leggera contrazione rispetto al +1,19% rilevato nel 2010 (corrispondente a 72mila unità in più), ma – l’abbiamo detto – superiore alla dinamica rilevata nel triennio 2007-2009 (quando era pari a +0,5%, con un minimo storico registrato nel 2009, quando si era arrivati appena ad un + 0,28%).
La diminuzione del tasso di incremento pare essere dovuta soprattutto alla riduzione delle nuove aperture (sono nate circa 20mila unità in meno rispetto al 2010) piuttosto che all’aumento delle chiusure (solo 3mila imprese in più hanno cessato l’attività rispetto al 2010).



Tale andamento si inverte, però, nel Mezzogiorno, dove vi sono state 3.500 imprese nuove in meno e ben 7.400 chiusure d’attività in più rispetto al 2010; il saldo annuale rimane, comunque, positivo per il Sud, con 13.986 imprese in più (saldo tra le 129.181 iscrizioni e le 115.195 cessazioni) nel 2011, pari ad un tasso di crescita dello 0,7%. Dal punto di vista territoriale, è, tuttavia, il Centro ad esprimere un maggior desiderio di fare impresa, con ben 16.633 imprese in più (saldo tra le 85.719 iscrizioni e le 69.086 cessazioni), corrispondenti ad un +1,29%. Segue il Nord-Ovest, con 13.501 imprese in più (saldo tra le 103.610 iscrizioni e le 90.109 cessazioni) e un incremento dello 0,84%. La minor vitalità è stata, infine, rilevata nel Nord-Est, dove il saldo tra le nuove imprese (72.800) e le imprese che hanno cessato la propria attività (66.691) è stato pari a 6.109 unità, con un tasso di crescita dello stock di imprese dello 0,51%.




A livello regionale, sono Lazio, Lombardia, Campania, Toscana e Sicilia ad aver registrato degli incrementi nel numero di imprese superiori alla media nazionale, rispettivamente con un +1,94% (e un saldo di 11.672 imprese, tra 39.955 iscrizioni e 28.283 cessazioni), un +1,21% (saldo di 11.530 imprese, tra 61.393 nuove iscrizioni e 49.863 cessazioni), un +1,06% (saldo di 5.862 imprese, tra 36.696 iscrizioni e 30.834 chiusure), un +1,05% (saldo di 4.375 imprese, tra 28.865 aperture e 24.490 chiusure) e un +0,96% (saldo di 4.482 imprese, tra 29.953 iscrizioni e 25.471 cessazioni).

In alcune regioni si è giunti, invece, al segno negativo, come in Basilicata, con un -0,43% (pari a -270 imprese, saldo tra 3.106 nuove attività e 3.376 chiusure), in Valle d’Aosta, con un -0,32% (pari a -45 unità, saldo tra 799 aperture e 844 chiusure) e in Friuli Venezia Giulia, con un -0,16% (pari a -174 unità, saldo tra 6.410 iscrizioni e 6.584 cessazioni).
Con riferimento alla forma giuridica, sono le società di capitali ad aver contribuito maggiormente (per circa l’85%) all’incremento del tessuto imprenditoriale italiano, con un ritmo di crescita nel 2011 del 3,15%, pari a 42.592 unità in più rispetto al 2010, saldo tra 80.744 iscrizioni e 38.152 cessazioni.

Segno negativo invece per le società di persone, che, con un tasso del -0,03% e un saldo di -388 imprese (tra 45.187 nuove attività e 45.575 chiusure), sembrano rallentare la crescita del sistema imprenditoriale. Discreto l’apporto (9%) delle imprese con forma di cooperativa o consorzio, le quali sono aumentate di 4.644 unità (pari ad un tasso di crescita del 2,35%), saldo tra 11.857 nuove aperture e 7.213 chiusure; più in particolare, le sole cooperative hanno incrementato il proprio numero per 2.881 unità, corrispondente ad un tasso di crescita dell’1,97%, e le regioni che hanno rappresentato un terreno particolarmente fertile sono state il Lazio (un tasso di crescita del 3,20% e un saldo di 597 unità), la Lombardia (tasso del 3,11% e saldo di 586 imprese), la Sardegna (tasso del 2,78% e saldo di 127 attività), la Toscana (tasso del 2,43% e saldo di 161 unità) e il Veneto (tasso del 2,40% e saldo di 137 attività).

Le imprese individuali, infine, hanno contribuito per il solo 6% al saldo complessivo, pari a 3.381 nuove unità (253.522 nuove iscrizioni e 250.141 cessazioni) e ad un tasso di crescita dello 0,39%; tra queste, una buona parte – 8.227 unità, frutto dello scarto tra 31.657 iscrizioni e 23.430 cessazioni – ha visto come titolare una persona immigrata. L’apporto dell’imprenditoria immigrata pare, quindi, particolarmente importante per garantire la tenuta della forma aziendale individuale, in un percorso di sempre più ampia integrazione nel tessuto economico e sociale italiano.



A livello settoriale si conferma il trend di declino per le imprese che si occupano di agricoltura, silvicoltura e pesca (che rappresentano il 13,7% dell’intero tessuto aziendale italiano), con un saldo in negativo di 18.922 unità e un tasso di decrescita del 2,20%.

In calo anche i dati riferiti alle imprese attive nell’estrazione di minerali da cave e miniere (-0,89% e un saldo di -45 unità), nella manifattura (-0,50% e un saldo di -3.137 unità), nel trasporto e magazzinaggio (-0,21% e -375 unità) e nell’amministrazione pubblica e difesa.

Cresce, per contro, in maniera significativa il numero di imprese che operano in altri settori, come la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (+36,28% e saldo di 1.797 unità), l’istruzione (+6,61% e saldo di 1.640 unità), la sanità e l’assistenza sociale (+5,28% e saldo di 1.715 unità), le attività artistiche, sportive e di intrattenimento (+3,72% e saldo di 2.409 unità), il noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (+3,64% e saldo di 5.545 unità), le attività professionali, scientifiche e tecniche (+3,13% e saldo di 5.929 unità) e i servizi di alloggio e ristorazione (+3,01% e saldo di 11.537 unità).

L’indagine concentra, infine, la propria attenzione sulle imprese artigiane, per le quali sembra delinearsi un momento non particolarmente favorevole: a fine 2011 ne risultano attive 1.461.183, ben 6.317 in meno rispetto al 2010 (saldo tra 104.438 nuove iscrizioni e 110.755 cessazioni), pari ad un tasso di decrescita di 0,43 punti percentuali. Si tratta di una tendenza negativa avviata nel 2009, quando la riduzione della base imprenditoriale artigiana è stata addirittura dell’1,06%.



Dal punto di vista territoriale, è soprattutto nel Mezzogiorno che si registrano degli esiti fallimentari, con un saldo in negativo per oltre 3mila unità: in Sardegna, ad esempio, è stato rilevato un tasso di decrescita del 2,07%, in Calabria dell’1,24%, in Basilicata dello 0,99%, in Molise dello 0,78% e in Sicilia un saldo negativo per 1.222 unità.

A livello settoriale, invece, le imprese artigiane risentono della crisi nel manifatturiero (registrando un saldo di -4.224 unità nell’ambito e un tasso di crescita del -1,20%), nel trasporto e magazzinaggio (-2.684 e calo di 2,59 punti percentuali) e nell’estrazione di minerali da cave e miniere (-29 imprese per una riduzione del 3,20%). Molte le cessazioni d’attività anche nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (dove si arriva ad un saldo di -1.176 unità e ad una riduzione del tessuto imprenditoriale artigiano di 1,29 punti percentuali) e nel settore delle Costruzioni (saldo di -1.695 unità e tasso del -0,29%), che occupa, in ogni caso, la quota più ampia  (40%) sul totale imprese artigiane. Variazione in forte ribasso anche per il settore immobiliare, con un -7,62%, pari a -17 imprese artigiane.

Vanno relativamente bene, di contro, le attività artigiane che riguardano noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle aziende (saldo di +1.950 imprese e tasso di crescita del 4,93%) e quelle che riguardano servizi alloggio e ristorazione (1.101 unità e crescita del 2,31%).

Al di là, comunque, dei dati meno incoraggianti, “siamo un Paese – ha concluso Dardanello – che ha tutte le carte in regola per mantenere alto il proprio prestigio nel mondo a partire dalle proprie produzioni di qualità, dalla creatività diffusa, dalla capacità di innovare. Tutte doti che si ritrovano nelle nostre imprese, anche le più piccole, a cui bisogna dare fiducia e strumenti per crescere e competere”. E ancora: “a chi fa impresa nel rispetto delle regole e con l’obiettivo di costruire qualcosa di duraturo, deve andare il rispetto e l’incoraggiamento di tutti, a partire dalle istituzioni”.

Il sistema camerale – ha assicurato il Presidente di Unioncamere – ha elaborato e sta mettendo in pratica un arco di proposte e iniziative a sostegno del fare impresa che può dare un contributo concreto a riprendere il percorso della crescita”. Infine un invito, rivolto al governo, ad “intensificare gli sforzi per non far mancare il credito a chi investe, produce e crea occupazione” e ad “attuare con scrupolo, in tutti i prossimi passaggi normativi, i principi contenuti nello Small Business Act puntando a sostenere la piccola impresa, senza la quale non c’è made in Italy, non c’è occupazione, non c’è sviluppo”.

Fonte: Pmi-dome

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