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2015-01-01

No ai 'cibi da laboratorio', gli italiani bocciano la clonazione e gli ogm

I 'cibi da laboratorio' non servono: il patrimonio di biodiversità animale e vegetale nel mondo è così vasto e completo che va solo opportunamente preservato e selezionato. Quindi investire grandi capitali per creare nuovi prodotti 'artificiali' non ha senso. I consumatori bocciano in maniera inequivocabile gli Ogm e la clonazione a fini alimentari. Questa l'analisi che emerge dalla conferenza indetta da Cia, Confederazione italiana agricoltori e Vas, Verdi ambiente e società per lanciare l'iniziativa 'Mangiasano 2012', che il prossimo 19 maggio proporrà manifestazioni, degustazioni, laboratori e mercatini in tutta Italia.

Le nostre produzioni di eccellenza , rilevano Cia e Vas, fanno grande il 'made in Italy' nel mondo, con esportazioni che muovono circa 30 miliardi di euro l'anno. D'altra parte, però, osservano Cia e Vas, la biotecnologia applicata a fini alimentari finora è costata moltissimo, sia in termini economici che in tentativi falliti. Ma continua a 'tentare' l'aspetto del 'business': solo per fare un esempio, la Cia evidenzia che l'azienda che finanziò l'esperimento per portare alla luce la prima pecora clonata 'Dolly' fece un salto in Borsa del 16% in un solo giorno solo con l'annuncio.

 

 

"Questo non vuol dire che noi siamo contrari alla ricerca e alla sperimentazione ma piuttosto preferiremmo che fosse promossa e incentivata nei settori in cui vi è una reale necessità. In agricoltura, nel settore alimentare e per l'ambiente le priorità negli investimenti dovrebbero essere altre" chiariscono Cia e Vas. Partendo, per esempio, "da un grande progetto teso al Censimento di tutte le specie vegetali e animali presenti in Italia, e finanziando il recupero e la rimessa in produzione di quelle biodiversita' in via di estinzione".

 

 

In Italia resta fermo il divieto agli Ogm. Un divieto che, tra l'altro, rispetta la posizione della stragrande maggioranza della popolazione. Secondo un'indagine Cia, infatti, ben otto consumatori su dieci non vogliono Ogm nel piatto. In particolare, il 55% degli intervistati ritiene gli organismi geneticamente modificati dannosi per la salute, mentre il 76% crede semplicemente che siano meno salutari. Anche la Cia e i Vas restano assolutamente contrari ma, spiegano, "non si tratta di un 'no' ideologico". In primo luogo vale il 'principio di precauzione' a tutela dei consumatori visto che "non esiste un'evidenza scientifica provata della loro 'non pericolosità".

 

 

L'altro aspetto fondamentale riguarda l'agricoltura. In Italia, ricordano Cia e Vas, "ci sono più di 500 prodotti Doc e Igp e una rete molta estesa di siti protetti a vario titolo". Bisogna dunque difendere questa tipicità. In più anche dal punto di vista territoriale l'Ogm non conviene: nel nostro paese la proprietà agricola è molto frammentata, con una grandezza media di 7,9 ettari contro i 240 degli Stati Uniti (che producono da soli il 43% degli Ogm).

 

 

Imporre in Italia la coltivazione di organismi geneticamente modificati, per Cia e Vas, "significherebbe creare un sistema costoso e inutile, una doppia filiera che non è neppure conveniente economicamente. Inoltre, considerando morfologia e dimensioni delle aziende agricole, sarebbe molto difficile evitare 'contaminazioni' delle colture".

 

 

Quanto alla clonazione, Cia e Vas sottolineano che "gli esperimenti riusciti con successo non superano il 5% e l'aspettativa di vita dei cloni è estremamente bassa". La maggior parte "muore prima di diventare economicamente produttiva e chi sopravvive all'età giovanile di solito è particolarmente soggetto a malformazioni, tumori e infezioni. Da qui le serie perplessità sull'ingresso dei loro derivati nella catena alimentare". L'errore di fondo, sostengono le due organizzazioni, "è quello di chiedere alla biotecnologia di fare miracoli, rischiando poi di ritrovarsi nel piatto derivati di esperimenti malriusciti".

 

 

Per non parlare del capitolo costi. Proprio dagli Stati Uniti vengono le analisi economiche più pessimiste su un possibile mercato dei cibi prodotti in laboratorio. E' il Center for food safety, osservano Cia e Vas, "a sostenere che, nonostante l'atteggiamento della Fda (Food and drug administration), che nel 2008 ha approvato la Scnt come tecnica di produzione di alimenti animali, per molto tempo sarà difficile trovare carni clonate anche nei supermarket statunitensi, per il fatto che i costi di produzione sono di gran lunga superiori a quelli necessari per produrre animali convenzionali".

 

 

Ma anche se la sperimentazione venisse affinata massimizzandone i risultati e riducendone i costi, resterebbe comunque il fatto che i consumatori, in primis quelli europei, "si rifiuterebbero di acquistarli, visto che ben il 77% dei cittadini (dati Eurobarometro) oggi dice 'no' all'uso di animali clonati a scopo alimentare".

Fonte: Adnkronos

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