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2015-01-01

La moda italiana?

Il settore moda in Italia resta ancora in difficoltà. Gli italiani non comprano e la moda made in Italy sembra sempre di più destinata a essere “consumata” fuori. Secondo l’Istituto nazionale per il commercio estero cresce la quota delle vendite fuori dall’Italia sul fatturato complessivo del settore abbigliamento, con particolare concentrazione nei paesi fuori dall’Unione Europea. “La crisi che attraversa il settore della moda qui in Italia non ha risparmiato nessun tipo di negozio, da quelli piccoli di provincia, alle boutiques di stampo internazionale”. A parlare, sentito da Ilfattoquotidiano.it, è Beppe Angiolini, presidente della Camera nazionale italiana moda buyer e proprietario di una delle boutiques più prestigiose del mondo, Sugar ad Arezzo. A conferma di quanto detto da Angiolini e secondo dati Smi (Sistema moda Italia), il fatturato del settore tessile al 2011 viene stimato in crescita del +4,8%, senza avvicinarsi ai livelli di produttività pre-crisi e comunque in lieve decelerazione rispetto alla performance 2010. Sul dato resta determinante il commercio con l’estero: i consumi delle famiglie italiane si sono rivelati, ancora una volta, l’anello più debole.

Ma quali sono le strategie che un negozio deve mettere in atto per non cedere il passo alla crisi e continuare a soddisfare la propria clientela? La coerenza dell’offerta e il mantenimento della propria identità sono due elementi fondamentali. “L’offerta della mia boutique – dice Angiolini – è sempre stata improntata a un gusto minimale che naturalmente continuo a scegliere ancora adesso e anzi, proprio in un momento come questo l’idea di comprare capi sobri e viene “sposata” volentieri dalla consumatrice. Brands come Margiela, Watanabe o Comme des Garcons, per citarne alcuni, rappresentano l’essenza di questo stile”. Scegliendo la strada della coerenza, dunque, i negozi possono provare ad arginare la crisi. E tra i nuovi nomi è Haider Ackermann, designer colombiano dalla vita movimentata, quello su cui Angiolini sente di poter puntare molto.

 E le consumatrici? Come si orientano le donne nei propri acquisti, in un momento così delicato dal punto di vista socio-economico? Come prima cosa modificando la propria “scala di priorità” degli acquisti e preferendo un accessorio, quindi un paio di scarpe o una borsa, a un capo di abbigliamento. Questa tendenza è confermata anche dal proprietario del multibrand aretino: “Le donne comprano più volentieri un accessorio per una ragione di “durabilità” del prodotto. Quasi sempre si tratta, infatti, di oggetti che possono essere usati per più di una stagione, cosa che non necessariamente accade con un abito.” Scarpe e borse, dunque, restano le “prime scelte” di una donna.

E se volessimo una “short list” di capi sui quali una donna dovrebbe puntare per la stagione estiva? “Non ci sono “cose da avere” oppure trends da seguire, non più – conclude Angiolini – è finito il tempo della moda dei dictat e di quello che “va o non va”. Tutto può essere portato, seguendo l’unica regola del comprare solo cose che valorizzano la donna, che la sappiano rendere più bella e soprattutto che la facciano stare a proprio agio”. Eppure un capo che il presidente della Camera buyer considera “immancabile” nel guardaroba di una donna c’è ed un capo che non ha stagione. “La camicia bianca”. Naturalmente di ogni tipologia e prezzo.

FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO

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