Ripartire dalle eccellenze del Made in Italy
L'economia italiana sta soffrendo la peggiore crisi degli ultimi ottant'anni. Questo è un fatto. Così come è un fatto altrettanto importante il suo tratto distintivo di essere ancora, e per fortuna, fortemente incentrata sull'industria manifatturiera. Mettendo insieme questi due fatti diventa evidente che occorra una nuova politica economica che rilanci la crescita.
Solo così sarà possibile recuperare rapidamente il terreno perduto e collocare il Paese su un sentiero di sviluppo decisamente più elevato di quello su cui è rimasta per tanti anni già prima della crisi. A questo sarà chiamato il governo che uscirà dalle elezioni del 24-25 febbraio.
Ma come disegnare questa politica? A mio avviso occorre tener conto di come l'economia italiana funziona, cioè delle sue specificità. E per individuare queste specificità viene in soccorso la lettura di alcune recenti analisi.
Tutte queste analisi hanno come comun denominatore l'industria quale leva del rilancio dell'Italia. Semplificando, il succo di essi mi sembra abbastanza chiaro.
Anzitutto, sono elevate le chances che avrebbe una politica industriale che curasse e sviluppasse la parte della nostra struttura produttiva che, pur nelle grandi difficoltà attuali, mostra segni di vitalità. Mi riferisco al mondo dei distretti industriali del made in Italy. L'analisi effettuata da Lino Mastromarino, in particolare, illumina molto bene - «dall'interno di un'esperienza diretta», mi verrebbe di dire - la logica distrettuale; perciò mi sento di consigliarlo a tutti coloro che affrontano il tema distretto industriale un po' colla puzza al naso.
In particolare, i distretti di successo della meccanica strumentale, che ha un ruolo cruciale nel nostro export e nel contribuire, con un enorme surplus, a pagare le nostre bollette di vario genere. Marco Canesi, con una dettagliata analisi statistica, documenta le performances di quei distretti del Made in Italy. E sottolinea come la meccanica strumentale rappresenti una sorta di anello di congiunzione fra l'alta tecnologia e la produzione artigianale. La sua idea è che scalare la vetta della tecnologia avanzata a partire dal successo delle nostre macchine utensili, è più facile che affrontare direttamente il problema con un grande piano di modernizzazione industriale.
I distretti sono, poi, importanti incubatori e da lì sono nate e si sono sviluppate le medie imprese cresciute dal basso, straordinariamente attive ed aggressive, le quali, di norma, restano collegate, rafforzandolo, al distretto industriale di origine, come ben spiega l'appassionata e precisa rassegna curata da Fulvio Coltorti. Queste imprese, "scoperte" da Fulvio Coltorti nelle pieghe delle statistiche di Mediobanca, hanno - è inutile dire - una dimensione più congrua delle piccole che le circondano ai rapporti colla finanza e coi mercati esteri.
Si tratta, insomma, di riprendere un discorso che è sul tavolo da tempo: la formulazione di una politica industriale che soddisfi le ambizioni delle giovani generazioni, ma che, al tempo stesso, non getti via, come una scarpa vecchia, il frutto degli sforzi delle generazioni passate. Anzi, faccia leva proprio su quei frutti, che vanno anzitutto preservati dalla minaccia di distruzione che la crisi ha portato e che può essere scongiurata solo facendo ripartire l'Italia. Perciò tornare a crescere non solo è possibile, ma è un dovere etico.
FONTE: ILSOLE24ORE.COM