Il made in Italy delle Pmi seduce e dall
NEL 2014 I FINANZIAMENTI STRANIERI NEL PAESE SONO CRESCIUTI DEL 31 PER CENTO PERMETTENDO ALL’ITALIA DI RISALIRE AL 12° POSTO TUTTO MERITO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE E DEL LORO KNOW HOW Giovanni Marabelli Milano L’ Italia sta iniziando a recuperare il proprio appeal tra gli investitori internazionali. Benché l’inversione di tendenza registrata negli ultimi mesi sia ancora nella fase iniziale, e i livelli pre—crisi decisamente lontani, le premesse per attirare flussi d’investimento dall’estero, realizzare progetti, creare occupazione si stanno definendo.
Lo dimostra il combinato disposto di alcune ricerche sfornate di recente da primari centri di analisi economica: dal “The fDi Report” (prodotto da “ fDi Intelligence”, la divisione del “Financial Times” dedicata agli investimenti internazionali) al “The Fdi Confidence Index” della società di consulenza A.T.Kearney, passando per “Italia multinazionale” dell’Ice, l’agenzia governativa per l’internazionalizzazione. Nel 2014, secondo l’annuale rapporto della “fDi Intelligence”, gli investimenti internazionali mirati a iniziative “ex novo” (i cosiddetti “greenfield”, quelli a maggior valore aggiunto per il sistema Paese) sono rallentati bruscamente, segnando un risicato +1 per cento, dopo la precedente crescita a due cifre.
L’Europa, nella quale l’indagine include anche Russia e Turchia, è andata addirittura in rosso, con un calo del 6 per cento tanto in valore di capitali investiti quanto in numero di progetti avviati. Una tendenza che, fortunatamente, non accomuna l’Italia al resto del continente. Nel nostro Paese sono affluiti dall’estero circa 5 miliardi di dollari per avviare 101 progetti, il 31 per cento in più del 2013, contro un calo medio continentale del 17 per cento. Quanto agli altri principali Paesi della Ue, 909 sono i progetti finanziati da investitori esteri nel Regno Unito (con 35 miliardi di dollari di capitali investiti), 378 in Germania (7 mdl), 252 in Spagna (9 mld), 237 in Francia (6 mld).
I tradizionali concorrenti dell’Italia, quindi, rimangono lontani ma il dato positivo (benché distante anni luce dagli oltre 250 progetti “greenfield” da fondi esteri del 2008) relativo a investimenti per finanziare nuove iniziative è molto significativo e testimonia della “luna di miele” in corso tra Italia e investitori internazionali.
A suffragare questa tesi arrivano i numeri di “Italia Multinazionale”, secondo cui la grande fuga è finita e dal 2013 il nostro Paese sta tornando gradualmente sui radar degli investitori esteri, con una progressione degli investimenti provenienti da oltre confine del 9 per cento (dopo un declino nell’anno precedente pari al 22 per cento) e la previsione di “una forte accelerazione” nei prossimi anni. Tale da ridurre l’attuale, consistente, differenza nel rapporto investimenti diretti esteri/prodotto interno lordo che in Italia viaggia intorno alla metà della media europea.
E anche il gap tra investimenti italiani in uscita e in entrata. Secondo dati Ice—Politecnico di Milano, lo stock di investimenti diretti in uscita dal nostro Paese è pari al 28,9 per cento del Pil, quello in entrata al 19,5 per cento. Con 1,5 milioni di dipendenti di società estere che fanno capo a gruppi italiani contro 915mila che lavorano in Italia in partecipate straniere. E 587 mld di fatturato a fronte di 497. L’ottimismo appare non infondato. Lo “certifica” la 15esima edizione, datata 2015, del “Fdi Confidence Index”, che misura il grado di attrazione esercitata da un Paese sulla comunità degli investitori e dei decision maker internazionali e redige una classifica dei primi 25 Stati al mondo per attrattività economica. Nell’ultimo anno l’Italia ha bruciato le tappe, passando dal 20esimo al 12esimo posto.
Appena due anni fa, nel 2013, non rientrava nemmeno tra le eccellenze della graduatoria, un’esclusione che durava senza soluzione di continuità dal 2007. La classifica è guidata dagli Usa, seguiti da Cina e Regno Unito (che nel 2013 era solo ottavo) e poi, nell’ordine, Canada, Germania, Brasile, Giappone, Francia, Messico, Australia, India e, appunto, Italia. I Paesi europei negli ultimi due anni hanno generalmente migliorato di molto la loro posizione: il livello di interesse per il Vecchio Continente, spiegano gli analisti di A.T.Kearney, è senza precedenti da molti anni a questa parte e la loro quota nell’Indice è aumentata dal 40 al 60 per cento negli ultimi 12 mesi.
La stabilità politico—economica, in un periodo dominato in maniera crescente da incertezza e volatilità, rappresenta il traino principale di questo rinnovato interesse ma anche la politica espansiva della Banca centrale europea sta svolgendo un ruolo molto significativo. La concorrenza, insomma, si fa sempre più spietata anche in Europa. E sarebbe necessario che l’intero sistema Paese, senza differenze tra pubblico e privato, scendesse in campo per evidenziare i tanti punti di forza dell’Italia. Una strategia già avviata dall’Aifi (Associazione italiana dei fondi di private equity, venture capital e private debt) che da Londra ha cominciato una sorta di tour per sensibilizzare ulteriormente gli investitori stranieri. I dati del 2014, infatti, dimostrano che anche su questo fronte lo scorso anno ha rappresentato il giro di boa.
Da una indagine condotta da PwC per Aifi risulta che nel 2014 i fondi di private equity hanno complessivamente investito nel sistema economico italiano 3,53 mld di euro, contro i 3,43 mld del 2014. Ma a fare la differenza sono proprio le risorse arrivate dai fondi internazionali: 1,9 mld, in aumento del 39 per cento rispetto agli 1,37 mld del 2013, vale a dire il 53,8 per cento del totale contro il 40 per cento dell’anno scorso. E la novità è rappresentata dall’interesse che, i casi di cronaca sono numerosi, la platea degli investitori internazionali sta dedicando a una delle specificità vincenti del made in Italy: le micro, piccole e medie imprese.
Un coinvolgimento delle Mpmi nel processo di internazionalizzazione del sistema Paese sottolineato anche in “Italia multinazionale” Lo slogan “Piccolo è bello” sembra tornare di moda. Sono proprio le Pmi simbolo del “made in Italy” le più corteggiate dai fondi di investimento stranieri che sono tornati a puntare i radar sul Paese